Aumenti minimi ai salari e catastrofi garantite: la ricetta perfetta per il disastro economico

Aumenti minimi ai salari e catastrofi garantite: la ricetta perfetta per il disastro economico

Stanchi di aspettare il budget che arriverà tra tre settimane, i commentatori politici britannici si sono già arresi al destino e hanno scommesso su alcune misure certe che la temibile Rachel Reeves, la ministra delle finanze del Regno Unito, ha in serbo.

Prima novità: una nuova fantastica estensione del congelamento delle soglie fiscali, quelle che stabiliscono quando si comincia a pagare l’imposta sul reddito ordinario e quella più elevata. Fantastico, vero? Pagare di più, ma sempre di più, senza mai rivedere un centesimo delle soglie. Un vero colpo di genio per mantenere intatto lo spirito di “sempre più tasse, sempre più austerità”.

Seconda bomba in arrivo: un aumento del 4% del National Living Wage — il salario minimo legale che i datori di lavoro britannici devono corrispondere ai lavoratori dai 21 anni in su — che salirà da £12,21 a £12,70 l’ora, a partire da aprile 2026. A sentirlo così sembra pure una generosità dello Stato. In realtà, con questo prodigioso aumento, un lavoratore full-time a minimo salariale guadagnerà circa £26.416 all’anno, piazzandosi tra i salari minimi più alti al mondo, subito dietro Australia e Nuova Zelanda, ma sopra Francia e Germania, e soprattutto molto più alto di Giappone, Stati Uniti e Canada. Che progresso.

Naturalmente, vivere nel Regno Unito non è mai gratis: l’ultimo aumento del NLW è stato accompagnato da un incremento dei contributi assicurativi a carico dei datori di lavoro, la famosa National Insurance, aumenta pure quella! Così, non solo le aziende si trovano a sborsare di più, ma il livello di reddito da cui scatta tale contributo si è pure abbassato. Tradotto: costi molto più alti per chi assume e, ovviamente, meno posti di lavoro, in particolare nel settore alberghiero e della ristorazione. Bravo il governo, questa mossa ha anche alzato l’inflazione. Se non è un risultato politico eccellente, poco ci manca.

Questa immagine parla più di mille parole: Rachel Reeves sorridente durante una visita allo stabilimento British Steel a Scunthorpe, quasi a sottolineare la gioiosa ironia dietro un settore in evidente sofferenza. Purtroppo nessuna foto salverà i posti di lavoro persi o la frenata dell’economia reale.

Quando il salario minimo fa concorrenza alle lauree

Secondo il Financial Times, però, l’aumento di salario minimo potrebbe avere un effetto collaterale ancora più buffo. Molti datori di lavoro iniziano a preoccuparsi che, una volta applicata la nuova tariffa, i salari minimi saranno in pratica identici ai salari di ingresso per laureati in professioni come contabilità, legge e finanza. Insomma, che senso ha indebitarsi per ammontare di £45.000 con prestiti studenteschi, se poi ci si può guadagnare lo stesso impilando scatole sugli scaffali?

Un CEO si è spinto oltre, confessando candidamente:

“Perché mai i giovani dovrebbero sobbarcarsi un debito studentesco di £45.000 se guadagnano lo stesso facendo i magazzinieri?”

Bellissimo, no? Questo delirio mette a dura prova il mito universitario secondo cui una laurea sia sinonimo automatico di lavoro migliore e stipendio più alto. Un mito sacro, promosso con meticolosa foga dall’amato Tony Blair, che nel 1999 sognava il 50% dei diplomati all’università, obiettivo poi miracolosamente raggiunto nel 2019.

Peccato che andare all’università nel frattempo sia diventato un lusso, con le spese spostate dallo Stato agli studenti tramite le famigerate tasse universitarie, salite dai mitici £1.000 all’anno di fine anni ’90 fino a €9.535 l’anno attuali in Inghilterra (più basse in Galles e Irlanda del Nord, mentre gli studenti Scozzesi che studiano in Scozia non pagano affatto). Insolitamente generosi, no?

Gran parte degli studenti ricorre a prestiti per coprire queste spese, con la beffa che il rimborso parte solo una volta raggiunti i £25.000 di reddito annuo, poi si pagano il 9% esatto del proprio stipendio. Una splendida tassa aggiuntiva mascherata da “prestito”.

Così, oltre a vedere lo stipendio minimo avvicinarsi pericolosamente a quello di un neolaureato, chi accetta questo paradosso rischia in realtà di portare a casa meno soldi netti, a causa delle dolci zanne del rimborso del prestito studentesco che mordono ben più forte del salario aumentato.

Se non conviene più laurearsi

Nel frattempo, trovare un posto da laureato sembra diventare un’impresa quasi mitologica. L’Institute of Student Employers certifica che, per il secondo anno consecutivo, i grandi datori di lavoro hanno ridotto il numero di assunzioni per neolaureati dell’8% solo nell’ultimo anno accademico. Le tre quattro grandi società di contabilità, una volta famigerate per ingaggiare masse di giovani laureati, stanno tagliando i posti ancora di più.

Così, ci si ritrova davanti a un dilemma tutto britannico: spendere una fortuna e indebitarsi per una laurea che non garantisce più né lavoro garantito né uno stipendio decente, oppure far filone e prendersi quel salario minimo apparente da magazziniere, che almeno … è reale e in crescita.

Chissà come si evolverà questa rivoluzionaria distorsione sociale in salsa inglese. Una cosa è certa: le classi dirigenti non deluderanno nel trovare nuove, creative e allettanti ragioni per complicare la vita a chi vuole solo lavorare e vivere con dignità.

Insomma, ci chiediamo: cosa sarà mai più importante per i giovani inglesi? Diplomarsi e andare all’università o lanciarsi in apprendistati o addirittura nel sogno imprenditoriale? Perché, a quanto pare, Keir Starmer, nostro illuminato Primo Ministro, ha deciso di rottamare l’ambizioso obiettivo alla Tony Blair di una volta, ufficialmente perché “non è adatto ai nostri tempi”.

La sua nuova missione? Far sì che ben due terzi dei ragazzi al termine della scuola superiore si buttino o sull’università, o su un’istruzione tecnica più avanzata, o su un “apprendistato di livello oro” (vale a dire con qualifica tecnica) entro i 25 anni. Severissimo cambio di rotta, con un nuovo – e assai sospetto – spirito “formativo” che lascia, però, perplessi soprattutto i produttori industriali. Già, perché dopo anni di chiusure di corsi professionali nelle scuole tecniche superiori, un bel rilancio delle competenze sembra utopia.

L’“apprenticeship levy”, una tassa dello 0,5% per gli imprenditori con uno stipendio annuo sopra i 3 milioni di sterline, introdotta nel 2017 pensando di finanziare corsi di formazione, si è trasformata nel magico strumento per incentivare le grandi aziende a preferire dipendenti già esistenti anziché assumere nuovi apprendisti. Il risultato? Un crollo del 33% delle assunzioni in apprendistato dal 2015, e un drastico calo del 40% nell’ingegneria dal 2017.

Paradosso: nonostante lo strapotere attribuito alle competenze — un celebre datore di lavoro nella siderurgia offre persino 90 sterline l’ora per saldatori qualificati —, i giovani di 18 anni continuano a preferire l’università come fosse l’unica via sacra. Il sistema di ammissioni universitario (UCAS) ha infatti rivelato pochi mesi fa che il record di ben 600.660 studenti ha presentato domanda per l’anno accademico prossimo, segnando un modesto incremento dell’1% rispetto al 2024-25.

E come se non bastasse, nonostante la cosiddetta “bolla” dei laureati, lo stipendio d’oro che dovrebbe corrispondere a un titolo universitario non è affatto sparito. Secondo analisi del Policy Institute del King’s College London e del Resolution Foundation, un diploma vale ancora oggi, in media, 280.000 sterline nette per gli uomini e 190.000 sterline per le donne nell’intero arco della carriera. Forse, dunque, tutta questa isteria sul fatto che l’università sia uno spreco è un po’ azzardata.

La logica suggerisce che un lavoratore pagato al minimo nazionale (il cosiddetto National Living Wage) probabilmente resterà sempre intorno a quella paga, mentre un giovane laureato che si butta in professioni come la contabilità può aspettarsi di salire con il salario, magari fino a livelli che farebbero impallidire il suo amico operaio con contratto a tempo indeterminato.

Insomma, l’aumento del National Living Wage potrebbe, in teoria, ridisegnare il mercato del lavoro britannico e scuotere le università, molte delle quali stanno già arrancando a causa dell’espansione sfrenata senza rendimenti adeguati. Ma non aspettatevi rivoluzioni immediate.

— Firmato: Ian King (chi altro?)

Le perle dal Regno Unito: Trash Talk a Downing Street

È perle da non perdere la scenetta tra il segretario finanziario ombra del partito conservatore, Gareth Davies, e la ministro delle finanze socialista Rachel Reeves. Secondo lui, è proprio “un po’ troppo” sentirla criticare la gestione conservatrice del passato. Magari, Kanye West avrebbe dato una definizione meno sottile, ma ci accontentiamo.

In un’altra clip da antologia, il CEO di Ryanair, il mitico Michael O’Leary, massacra il governo britannico e lancia l’allarme: aumentare le tasse sulle compagnie aeree? Brillante idea, soprattutto se volete vedere i velivoli scappare più in fretta degli aeroplani dal traffico londinese.

Michael O’Leary ha detto:

“È un gioco a somma zero: se i governi sono abbastanza stolti da tassare beni mobili come aerei e viaggi aerei, questi se ne vanno. Se qui nel Regno Unito sono così scemi da tassare la ricchezza, la ricchezza scappa.”

I Rumori dalla Finanza e dal Cyber Spazio Britannico

A Rachel Reeves è toccato il compito di affrontare le voci su presunti aumenti fiscali in un discorso pre-budget tutto fuorché convenzionale, in cui ha promesso che il suo bilancio punterà su “equità e opportunità”. Parola d’ordine? Pressioni sulle finanze pubbliche, o meglio, teme che qualche spicciolo in cassa manchi all’appello.

Nel frattempo, l’ennesimo attacco informatico ha colpito Jaguar Land Rover. Il Cyber Monitoring Centre ha stimato che questo assalto digitale sia costato al Regno Unito ben 1,9 miliardi di sterline (circa 2,5 miliardi di dollari). Morale: la modernità tecnologica britannica è così blindata che basta un hacker qualsiasi per mandare in tilt un colosso automobilistico. Roba che fa rabbrividire anche la nostra vecchia linea telefonica, in confronto.

Molto più scintillante appare la nota di Shell, colosso petrolifero britannico, che ha annunciato buyback di azioni per 3,5 miliardi di dollari nei prossimi tre mesi e ha pubblicato trimestrali con utili aggiustati a 5,4 miliardi, ben sopra le stime a 5,05 miliardi. Insomma, mentre i poveri sono sempre più poveri, loro si godono le montagne di denaro.

FTSE 100 di Londra ha fatto un piccolo sforzo la scorsa settimana, salendo di un modestissimo 0,1% fino alla chiusura di martedì. Gli investitori britannici, evidentemente affamati di emozioni forti, si sono concentrati sui risultati trimestrali di alcune grandi aziende quotate, tra cui HSBC, GSK, e i colossi petroliferi Shell e BP. Che suspense.

Nel frattempo, il rendimento dei famigerati “gilts” a 10 anni del Regno Unito ha giocato a fare l’altalena martedì, soprattutto dopo il discorso pre-Budget del cancelliere Reeves, che ha scompigliato le speranze (o paure) degli investitori con rivelazioni del tutto prevedibili: niente certezze su un aumento delle tasse, ma neppure una smentita risoluta. Insomma, un’arte sottile quella della non-risposta.

Durante il discorso, i rendimenti sono scesi fino a 4 punti base, per poi rimbalzare grazie all’assenza di indicazioni chiare su quello che accadrà il 26 novembre. Julian Howard, stratega capo multi-asset di GAM Investments, ha tradotto perfettamente il sentiment di molti: “Un sollievo iniziale seguito da un sano grado di diffidenza”, ovvero, la solita delusione mascherata da speranza.

Non poteva mancare il crollo della sterlina, che ha perso circa l’1% rispetto al dollaro statunitense la scorsa settimana, fermandosi a quota 1,3035 $ martedì sera, come sempre pronta a ribadire la propria posizione da paracarro della valuta internazionale.

Appuntamenti Imminenti: cosa può andare storto?

Ecco i prossimi eventi da cui tutti noi, investitori o spettatori curiosi, possiamo aspettarci qualche nuovo spunto per amare (o detestare) il Regno Unito economico:

– 5 novembre: Vendite di nuove auto per ottobre – perché niente dice “stabilità” come le vendite di automobili;
– 6 novembre: Decisione sui tassi della Banca d’Inghilterra – il momento in cui si decide se far piangere o sorridere i consumatori;
– 11 novembre: Tasso di disoccupazione a settembre – la statistica sempre utile per confortare o terrorizzare la gente.

Insomma, il Regno Unito è un teatro dove anche le notizie più banali si trasformano in una tragicommedia economica. Nel frattempo, ci possiamo sempre consolare guardando il grafico del FTSE 100 fluttuare come una barchetta in mezzo alla tempesta dell’incertezza politica e fiscale. Ah, la dolcezza dell’imprevedibilità dei mercati!

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