In più, l’ennesimo rifiuto del “baratto” tra terzo mandato e ius scholae ci lascia intravedere il livello di negoziazioni al ribasso dentro il centrodestra. C’è ancora chi immagina che basti una regola simpatica sull’acquisizione della cittadinanza per far passare tutto il resto, come se cambiare il diritto di voto o di residenza potesse magicamente tramutare la realtà politica e le sue regole spietate.
Il terzo mandato, quella soap opera politica che ha tenuto banco tutta la primavera, con epicentro nel saporito Veneto governato da Luca Zaia, ha finalmente tirato le cuoia. Dopo il melodramma di facciata orchestrato da Stefano Locatelli, responsabile degli enti locali della Lega, che ha più o meno annunciato “prendiamo atto dell’assenza di Forza Italia e lasciamo che il centrodestra si sbrogli con i candidati migliori”, anche l’ultimo, evanescente barlume di speranza per il buon Zaia si è volatilizzato. Eh già, dopo mesi di pressioni per cambiare il tetto dei mandati, il sogno svanisce.
Fonti non proprio segrete della Lega confermano: addio a ogni emendamento sul ddl riguardante il numero di assessori e consiglieri regionali. Come dargli torto? Dopotutto, era stata chiesta una proroga come se fosse l’ultima chance, in seno alla prima commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, guidata dal meloniano Alberto Balboni, con l’obiettivo di tirare altri giorni preziosi per negoziare con Forza Italia — una trattativa che sembrava più una scalata all’Everest. Ma nada. Lo stesso Matteo Salvini, segretario federale della Lega, ha fatto il gesto del “basta!” chiarendo che lo scambio tra il terzo mandato e lo ius scholae tanto caro al collega vicepresidente Antonio Tajani non è cosa che possa passare il convento.
Al giorno dopo questo glorioso “game over”, nella patria veneta, Alberto Villanova, il capo dell’intergruppo Lega in Regione, continuava a chiamare a raccolta i fedeli con un implacabile “non è finita finché non è finita”. Battibeccava ancora con la speranza, quella di vedere emergere un emendamento corsaro in Senato capace di salvare la situazione. Spoiler: il tempo è ufficialmente scaduto. Anche chi dentro la Lega ci aveva creduto fino all’ultima giornata ha dovuto chinare il capo. La bocciatura della Corte costituzionale sul terzo mandato è stata così netta e recente che persino gli ottimisti più sfegatati hanno dovuto ammettere la realtà.
Quindi niente emendamento, “99 su 100” per citare un colonnello illuminato, non vedrà mai la luce. E così, con il sipario che cala su questa tragicommedia, le opposizioni si godono la scena, pronte a fare il loro solito show tra applausi (ma anche qualche occhiolino…).
Una stagione politica da manuale dell’assurdo
Che ci abbia davvero creduto qualcuno? La vicenda del terzo mandato è diventata uno spogliarello politico lento e noioso, una serie di mosse e contromosse degne di un film d’autore, con protagonista un Zaia in cerca disperata di un’eccezione alla regola. Dopotutto, il tetto dei mandati esiste, è chiaro e tracciato dalla legge, ma quando si tratta di una “stella” del partito, beh, allora si cercano scappatoie, si propongono emendamenti rubati dal cappello come conigli. Che brillante strategia, davvero.
E che dire dello scontro interno alla coalizione? Da una parte la Lega, che grida “lo vogliamo!” e dall’altra Forza Italia, che fa orecchie da mercante e cambia idea come fosse una partita a poker. Nel frattempo gli elettori probabilmente si chiedono quando tornerà la serietà. Ma forse questa è un’illusione troppo romantica in tempi di politica da reality show.
In più, l’ennesimo rifiuto del “baratto” tra terzo mandato e ius scholae ci lascia intravedere il livello di negoziazioni al ribasso dentro il centrodestra. C’è ancora chi immagina che basti una regola simpatica sull’acquisizione della cittadinanza per far passare tutto il resto, come se cambiare il diritto di voto o di residenza potesse magicamente tramutare la realtà politica e le sue regole spietate.
Stefani torna in campo, la nuova fiction del centrodestra
Mentre l’epopea del terzo mandato si spegne, i riflettori non si spengono mai nel teatrino del centrodestra. Il ritorno in pole position di Stefania Stefani come candidata non è solo un dettaglio: è la puntata successiva della nuova fiction politica veneta, fatta di giochi di potere, accordi, smentite e, naturalmente, nuove alleanze.
Non contenti di mettere il coltello nella piaga, essi lavorano – con impegno degno di uno sceneggiatore di telenovelas – a un patto con Azione, come se l’aggiunta dell’ennesima sigla potesse rivoluzionare la partita elettorale. Come se bastasse qualche marchio in più per calmare le acque agitate da mesi di schermaglie e discese agli inferi del consenso.
Ah, i misteri delle alleanze politiche! Si sembra che il vero sport del centrodestra sia quello di cambiare collocazione più spesso delle mezze stagioni, con strategie che a volte brillano per brillante assenza di logica e consistenza.
E così, mentre la primavera politica di Veneto si chiude tra un rimpallo di responsabilità e un gioco di sedie davvero degno del miglior cabaret, la partita continua. Con scenari nuovi, rimpianti passati e un copione che sembra scritto più per intrattenere che per governare.
Ah, la politica italiana: quel magico luogo dove i «migliaia di contro emendamenti» sono pronti non per migliorare una legge, ma per seppellirla prima che qualcuno osi discuterla. Che spettacolo di efficienza democratica, vero?
Nel frattempo, nel teatrino del centrodestra, tra Lega e Forza Italia si lanciano accuse in stile telenovela. Raffaele Nevi, portavoce nazionale azzurro, non perde occasione per tirare frecciate: «Alcuni presidenti di Regione pretendono un altro mandato dopo averne fatti già due o tre. Noi di FI siamo stati chiari, due mandati sono sufficienti. Anche quando si è parlato di premierato, è stato inserito questo limite. Detto questo, ci siamo comunque messi a discutere di un tema che, sorpresa, non era nemmeno nel programma del centrodestra ma pare rispondere alle ambizioni personali di qualcuno.» Traduzione? Non è solo politica, ma un po’ di meri interessi personali.
Antonio Tajani rincara la dose, con stile inconfondibile da politico navigato: «Dieci anni sono ampiamente sufficienti. I presidenti di Regione hanno poteri più ampi persino del presidente del Consiglio o del presidente della Repubblica nei loro territori. Oltrepassare questo limite rischia di trasformare tutto in un posto di comando incrostato e anestetizzato dalla democrazia. L’alternanza è sacra. Non è una crociata personale, ma un principio.»
Insomma, chi ha fatto dieci anni nelle poltrone regionali ormai può tranquillamente pensare a fare altro, grazie. Nel frattempo, Salvini appare un po’ seccato, soprattutto quando precisa che non c’è mai stato alcun vertice con FI. E per aggiungere pepe: «Quando FI chiede in cambio la cittadinanza facile, lo ius scholae, di cosa stiamo parlando? Abbiamo appena avuto un referendum, non siamo al mercato. È un peccato che sul terzo mandato non ci siano aperture, ma la legge sulla cittadinanza non la cambio: gli italiani non la vogliono.» Facile, no?
Ma non è tutto. Mentre a livello nazionale il centrodestra si scanna davanti ai media, sul territorio la Lega del segretario Alberto Stefani (che, guarda caso, si candida pure lui) fa finta che il terzo mandato non esista mica. Nessuna fretta, quindi, anche se settembre è dietro l’angolo e le urne dovrebbero aprirsi il 16 novembre. Ah, agosto… quel dolce mese di vacanze che in politica si trasforma in “chiudiamo tutto o almeno mettiamo giù qualcosa di scritto” per le liste.
Da Roma, ovviamente, arriva l’intrigo: tutto dipende dalle decisioni di qualche cervellone del governo centrale. Ma dalla Lega regionale arriva un po’ di ottimismo da copione: salvandolo a spada tratta, si interpreta che Salvini abbia in qualche modo ottenuto un accordo per un candidato unico. O almeno ci stia lavorando sopra.
E così la macchina si mette in moto: fioccano autocandidature, si punta a finire di cucire la coalizione entro luglio. Perché, a quel punto, sarà chiaro se il centrodestra correrà compatto o se la Lega, sentendosi tagliata fuori dal candidato governatore, passerà dalle parole ai fatti, presentandosi da sola contro Fratelli d’Italia e Forza Italia. La tentazione di andare in solitaria è forte, tant’è che si lavora sodo per allargare il bacino a centro, con interlocuzioni (sempre ufficiose) con Azione. Ma, guarda un po’, i calendiani restano silenziosi. Come sempre.