Zaia riscrive la storia: proteste antibezoz? I partigiani veri applaudivano gli americani, mica chi si lamenta oggi

Zaia riscrive la storia: proteste antibezoz? I partigiani veri applaudivano gli americani, mica chi si lamenta oggi

Luca Zaia, il nostro instancabile governatore veneto, ci regala un’altra perla di saggezza degna di nota. Nella splendida cornice di Venezia, apparentemente senza padroni (così dice lui), si è scatenata una piccola tempesta mediatica a causa di alcuni striscioni con il nome di Jeff Bezos sbarrato, apparsi sul campanile dell’isola di San Giorgio e sul ponte di Rialto. Il nostro Zaia, che di solito mantiene un aplomb da statista, questa volta sembra vacillare un po’: “Io mi batterò sempre perché ciascuno possa esprimere le sue idee. Ma lo striscione con il nome sbarrato di Jeff Bezos sul campanile dell’isola di San Giorgio e sul ponte di Rialto sono un’altra cosa: una comunicazione di Venezia che non si può accettare”. Tradotto: protestare contro il matrimonio dell’uomo più ricco del pianeta è un’offesa pesante alla storia della città.

Ma di quale storia ci sta parlando il governatore? Naturalmente della gloriosa storia della Serenissima Repubblica di Venezia, una storia tutta apertura e cosmopolitismo. Zaia ricorda con commozione i fondaci dei tedeschi, dei turchi, il ghetto più antico del mondo e la cucina contaminata da spezie provenienti dall’altra parte del mondo, come se questi elementi magici rendessero sacrosanta qualsiasi accoglienza indiscriminata, anche a suon di festeggiamenti miliardari. In soldoni: la storia di Venezia non è mai stata quella del “vietato l’ingresso”, quindi perché scandalizzarsi per uno striscione? Forse perché dietro quello striscione si nasconde un “non siete i benvenuti” mascherato da protesta.

Ecco che Zaia subito ci spiega che uno striscione è una forma di protesta comune – wow, che scoperta! – ma questa volta è diverso. Perché? Perché questo striscione con il nome di Bezos sbarrato è una comunicazione sbagliata verso il mondo. Il governatore sottolinea con enfasi che quel ponte, e proprio il ponte, più famoso del mondo, manda l’immagine che “i visitatori non sono benvenuti”. Nulla di meno, ovviamente.

Ora, veniamo al nocciolo della questione: il famigerato overtourism, che dovrebbe essere, secondo qualsiasi sconosciuto con una mezza idea, il problema numero uno di Venezia. E Zaia? “Lo è.” Ma con un tempismo cinematografico aggiunge anche qualche precisazione che lascia a bocca aperta: ci sono 10 milioni di visite all’anno, Venezia è un museo a cielo aperto ma anche una città viva, dove la mattina si aprono banconi e forni. Cosa che non si può davvero dimenticare. 150 mila presenze al giorno? Sì, proprio così. Ma grazie alle “nuove tecnologie” e ai tre biglietti d’ingresso – perché Venezia è la città dei varchi, e lo sappiamo tutti – è finalmente possibile programmare questi flussi di turisti come un orologio svizzero. E badate bene: “Certamente non possono essere in base al censo.” Una dichiarazione che suona come un attacco velato alle proteste – che Zaia definisce “del tutto ideologiche” – contro il matrimonio di Bezos. Insomma, il problema esiste, ma non come lo descrivono gli indignati.

E cosa dire dei tanto chiacchierati matrimoni “di richiamo” che già si sono tenuti in laguna? Ah, beh, quelli vanno bene. Zaia precisa che parliamo di 200 invitati per un ricevimento (con qualche ospite di troppo qui e là), come a giustificare che piccoli golfi di esclusive celebrazioni miliardarie non disturbano più di tanto la fragile serenità veneziana. Pare infatti che il problema vero sia solo quando qualcuno osa mettere uno striscione “scomodo” su un ponte iconico. Altro che gestione equilibrata dei flussi turistici!

Insomma, il governatore ci offre una lezione magistrale: si può protestare, sì, purché le proteste piacciano a lui. La città di Venezia è aperta, cosmopolita e tollerante, ma non troppo, sennò qualcuno si offende. Il messaggio è chiaro: i miliardari e i loro matrimoni da favola sono ben accetti, mentre chi si preoccupa dell’impatto sociale e ambientale del turismo di massa è solo un “minoranza ideologica” fuori luogo.

Ah, Venezia, quella città che gestisce ben 150 mila anime ogni giorno ma, sorpresa delle sorprese, riesce comunque a ospitare matrimoni da copertina: da George Clooney a François-Henri Pinault e Salma Hayek, passando per Alexandre Arnault ed Elton John. Ecco, non ci stupiremmo se a questo party esclusivo si decidesse di unirsi addirittura Donald Trump. Chissà, forse la presenza di Jeff Bezos accanto al presidente USA è stata la scintilla magica che ha fatto scattare tutto questo teatrino di celebrità in laguna.

La domanda sorge spontanea: a Venezia si fa la lista degli invitati? Risposta: per carità, la città è ospitale da sempre, mica si fanno la guerra sugli ospiti. Anzi, grazie a questi miliardari “illuminati”, Venezia riceve costantemente fondi da fondazioni straniere che, udite udite, amano la città tanto da sostenerla. Certo, poi trovi i soliti contestatori che, da un lato, imbrattano striscioni contro Bezos e, dall’altro, lamentano l’arrivo di turisti che “spor­cano” e non lasciano nemmeno un euro. Geniale coerenza.

Da quanto si legge sui giornali, per questo evento veneziano sono stati affittati cinque alberghi e ben trenta motoscafi, con la festa che si consumerà sull’isola di San Giorgio. E il conto? Tra i 20 e i 30 milioni di euro. Un affarone, insomma, per una città che fa il broncio ogni volta che qualcuno osa avvicinarsi troppo.

Ma allora, dovrebbero star zitti i contestatori, considerando che si parla di un’occasione d’oro per il business? Ve lo immaginate? La risposta è un perentorio “ma che dice?”. Forse il vero problema è il tipo di messaggio che vogliamo mandare: “Venezia, città fredda e indisponente” o, ancor meglio, “Attenzione, qui spariamo ai turisti con pistole ad acqua”? Un enigma degno della laguna. E tra parentesi, ricordiamoci che il turismo è la principale industria del Veneto, con un fatturato annuo di 18 miliardi che, volenti o nolenti, ci sfiora tutti comunque.

Ah, e non poteva mancare la ciliegina sulla torta: tra i contestatori, spunta pure l’associazione dei partigiani, l’Anpi. Una sorpresa? No, figurarsi. Ognuno è libero di schierarsi come vuole… tranne quando poi si mettono in mezzo storie di “grande lotta” e Resistenza, con tanto di riferimenti alla fine di un “periodo terribile” fatto di deportazioni e leggi razziali. Complimenti, davvero un mix emozionale perfetto per contestare un evento mondano.

E quando si chiede se ci sia un ma, arriva la risposta da premio Nobel per la coerenza:

“Nessun ma. Penso solo che chi è stato partigiano abbia accolto a braccia aperte gli Stati Uniti che arrivavano nel 1945.”

Insomma, il link tra passato eroico e presente da festa esclusiva si regge su un equilibrio così fragile da fare invidia a un castello di sabbia veneziano. Ma, alla fine, bisogna ammetterlo: nulla manda in crisi la città più famosa del mondo come un matrimonio da mille e una notte con ospiti vip… purché a pagare siano gli altri.

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