Zaia piange il Veneto al buio e supplica Roma di fare luce sulle regionali

Zaia piange il Veneto al buio e supplica Roma di fare luce sulle regionali

Partiamo col botto: Luca Zaia, il presidente del Veneto, ha deciso di buttarla lì con una disarmante semplicità. Secondo lui, dai dati recenti – chiunque li abbia visti, ma nessuno ha ancora ben capito dove – la sua lista personale potrebbe tranquillamente galleggiare tra il 40 e il 45% dei consensi. Una percentuale più o meno identica a quella del 2020, quando schizzò quasi verso il 45%, raccogliendo un numero monstre di preferenze: più di novecentomila. Più che una previsione, una promettente quanto vaga speranza.

Prima, però, Zaia si prende la briga di aprire il sipario con la metafora dell’estate poco brillante: siamo ancora immersi in uno «stagno con un’acqua torbida». Torbida? Ma dai, sembrava acqua cristallina! Sta parlando ovviamente di quel caos politico che agiticchia il centrodestra come un cocktail mal shakerato mentre le elezioni regionali si avvicinano minacciose. Il nostro eroe, tuttavia, si dice «imbarazzato» e incerto su quale strategia adottare, specie per quanto riguarda una sua lista personale.

Quando poi arriva al punto, il nostro presidente lascia intendere che la lista è nata più per grazia ricevuta che per calcolo spietato: un’appoggio para-attrattivo per quei votanti in fuga che magari non amano troppo il centrodestra, ma che trovano Zaia un po’ meno indigesto. «Non ho mai usato la lista come strumento politico, ma come un modo per raccogliere chi mi sostiene senza votare centrodestra», ammette candidamente. Poi, con un sospiro che vorrebbe essere mistico, dice che aspetta di vedere se i alleati del centrodestra – che probabilmente già si mordono le unghie per paura di perdere voti – vorranno “valorizzare” questa lista o meno. E solo dopo si deciderà il da farsi, magari prendendo qualche aspirina.

Il paradosso è emerge chiaro come una giornata di sole nell’acqua torbida: mentre a Roma qualcuno pensa bene di inserire il nome di Zaia nel logo della Lega (ah, che innovazione!), dentro la coalizione scoppia il fattaccio. No, la sua lista indipendente proprio non va giù né a Fratelli d’Italia né alla stessa Lega. Il panico è nel rischio di dispersione dei voti. Nel frattempo, però, le truppe venete di Zaia, fedeli e meno inclini a pensare con la testa degli strateghi romani, spingono l’idea. “Più voti uguale più consiglieri a Palazzo Ferro Fini”, recita il mantra del partito locale. Qualche rumor – per non dire pettegolezzo politico da bar – suggerisce pure che potrebbe spuntare un candidato autonomo associato a quella che qualcuno chiama «fantomatica lista» di Zaia. Fantomatica quanto l’aria che respiriamo durante i dibattiti sulla coalizione.

Nel frattempo, mentre il centrodestra indugia come un adolescente di fronte a un compito difficile, sul fronte opposto si muove, compatto e deciso, il fronte del Movimento 5 Stelle. La candidatura di Giovanni Manildo è ormai una realtà consolidata e, sempre stando alle voci di corridoio, il via libera ufficiale è cosa fatta. Un paio di giorni e tutto sarà ufficiale, con tanto di applausi di rito.

Il tavolo nazionale: l’appuntamento con l’arcano

E poi arriva la ciliegina sulla torta della diplomazia fumosa: il tanto decantato “tavolo nazionale” dei leader del centrodestra. Quel famigerato incontro che – come una riunione di condominio che si trascina da tempi immemori – dovrebbe sciogliere gli enigmi e fare chiarezza sul destino di liste, candidati e consensi. Zaia confessa, con la sincerità di un santone in meditazione, di stare ancora aspettando che da quel tavolo escano proposte concrete.

Traduzione non ufficiale: il centrodestra è come una barchetta alla deriva, con comandanti che discutono se remare a destra, a sinistra o restare fermi finché non si risolva la strana atmosfera del Lago d’Acqua Torbida. Nel frattempo, il tempo passa, le elezioni si avvicinano e Zaia cerca di non dare troppi segnali, preferendo nascondersi dietro la scusa delle «difficoltà ad esprimere una personale idea». E noi, seduti sugli spalti di questo teatrino tutto veneto, aspettiamo con il popcorn in mano.

Luca Zaia continua a navigare a vista: prima aspetta che qualcuno illumini la stanza buia in cui si trova il Veneto, poi chissà, forse ci dirà cosa fare, dove e come. Nel frattempo l’unica speranza sembra quella che le indicazioni “macro” arrivino presto, così ognuno potrà decidere se sono sostenibili o, in alternativa, se sono del tutto insostenibili. Insomma, un gioco al buio degno del miglior teatro dell’assurdo.

Mai banale, nel frattempo la campagna pro lista Zaia e il tormentone dell’ipotesi di correre da soli in Veneto si fanno sentire forte e chiaro. Sabato scorso, all’assemblea degli amministratori leghisti, il sindaco di Treviso, Mario Conte, dalla platea non ne ha fatto mistero: “A volte è meglio soli che male accompagnati”. Magnifico aforisma decisamente spartiacque, applaudito a scena aperta dai leghisti presenti. Ovviamente, in totale contraddizione con la linea ufficiale del partito, perfettamente riassunta dal leader e vicepremier Matteo Salvini e dal segretario regionale Alberto Stefani, che pensano invece all’unità di coalizione come se fosse la soluzione a tutti i mali.

Chi sarà il candidato? Una commedia senza finale sicuro

Ancora un milione di dubbi da sciogliere: chi correrà davvero per la presidenza del Veneto? Il segreto meglio custodito è se sarà un candidato leghista o se Fratelli d’Italia si presenterà con i suoi piedi ben piantati a terra forte del record di preferenze. La presenza di una lista Zaia è più un’opzione da romanzo giallo che una certezza, e, se ci sarà, quanto sarà capace di raccogliere voti?

Rado Fonda, direttore di ricerca presso Swg, prova a fare il tifo per Zaia, definendolo “una forza trascinante”. Ma subito aggiunge un fastidioso dettaglio: “Se lui è il candidato il risultato del 2020 potrebbe ripetersi, se invece no… beh, sarà probabilmente un’altra storia.” Come se bastasse solo la presenza di Zaia per lanciare il Veneto verso il glam politico.

Fonda non è scevro di punti di vista interessanti: sottolinea che Zaia raccoglie voti da ogni dove, tra elettori leghisti, sostenitori di centrodestra occasionale e curiosi che non si riconoscono affatto nello schieramento. Partire dal 45% è un biglietto da visita niente male, ma senza sondaggi aggiornati, senza candidato certo e in uno scenario politicamente fluido, fare previsioni è l’equivalente di leggere il futuro nelle foglie di tè.

Il politologo Paolo Feltrin dell’Università di Trieste, puntualizza che mancano quattro mesi alle elezioni e che nel frattempo il cast di personaggi e alleanze potrebbe cambiare più volte. In definitiva pare che il “prendere tempo” sia il vero filo conduttore di questa vicenda.

Per un altro esperto, Antonio Noto di Ipr Marketing, l’idea di azzardare proiezioni sull’appeal di una lista Zaia è quanto mai incerta. Ricorda però che cinque anni fa il presidente prese quasi il 45%, e appare tra i più amati d’Italia. Insomma, una lista con il suo nome potrebbe “stappare” un certo marchio di qualità elettorale, ma la gamma di variabili – compresa la possibilità della lista di sostenere o sganciarsi dalla coalizione – rende la situazione impossibile da semplificare. La forbice oscilla fra un ottimistico 30-35% e un più cinico 20%. Che dire? Impossibile non restare col fiato sospeso.

Non si tira indietro Fabrizio Masia di Nexus, che prova a dipingere un quadro meno fosco: tenendo conto dell’altissimo gradimento di Zaia e dei ricordi del 2020 – più la discesa in campo di Flavio Tosi a Verona con la sindaca Patrizia Bisinella, arrivata al 20% – un 25% o un 30% per una lista Zaia potrebbe non essere un’astronave impazzita.

Il contesto attuale: perché il Veneto è il feudo del centrodestra

Al momento, tutte queste ipotesi restano nulla più che chiacchiere da bar politico. L’unica certezza (peraltro poco sorprendente) è che il Veneto è una roccaforte del centrodestra, che al centro delle regionali si presenta con un vantaggio netto, circa il +25%, sul centrosinistra. A ricordarcelo sono le osservazioni di qualche analista illuminato, come Giovanni Diamanti, amministratore di società di analisi politica.

In sostanza, la politica veneta sembra una partita di poker dove tutti cercano di giocare a nascondino, ma senza mai mostrare davvero le carte. Nel frattempo Zaia, la sua lista e la coalizione sembrano impegnati più a giustificare il loro commissariamento alle scelte politiche che a definirle chiaramente. Benvenuti nel grande teatro dello stallo politico veneto.

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