Il risultato di questa brillante iniziativa legislativa? Un rapinoso ma decisivo “sì” con 28 voti favorevoli, un ostinato “no” di uno solo, e nessuna astensione, segno che evidentemente la maternità fa miracoli anche sui numeri parlamentari. A corredo, la risoluzione associata guadagna 26 sì e quattro tiremm innanz, senza nessun dubbioso astenuto.
Sotto la lente di ingrandimento della proposta di revisione mirata all’Atto elettorale UE, una MEP incinta o neo-mamma potrà delegare il proprio diritto di voto per un massimo di tre mesi prima della data presunta del parto e sei mesi dopo. Ben sei mesi! Giusto il tempo di domare la giungla cambiata in cameretta.
Questa “volontaria sistemazione” si propone di fare miracoli conciliando il sacro principio del voto personale con le esigenze di inclusione ed eguaglianza nella rappresentanza politica. Come se delegare fosse l’ultima frontiera della parità di genere. I deputati vogliono anche lanciare un messaggio “esemplare” ai parlamenti nazionali – perché loro sì, sono quel modello di perfezione democratico da cui tutti dobbiamo imparare – e rafforzare la legittimità democratica attraverso una partecipazione più equa, una vera manna dal cielo per chi svolge la politica con passione e pannolini.
Un commento da manuale
Juan Fernando López Aguilar, relatore della proposta e membro del gruppo S&D in Spagna, ha commentato con la consueta modestia:
“Nessun rappresentante eletto dovrebbe mai dover scegliere tra il proprio voto e il proprio bambino. Introdurre il voto per delega per le MEP in maternità rafforza la rappresentanza democratica e garantisce che la voce degli elettori continui a essere ascoltata nei mesi prima e dopo il parto. Questa misura dà nuovo impulso alla riforma ambiziosa dell’Atto elettorale e supporta il nostro obiettivo più ampio di promuovere la parità di genere e l’equilibrio tra lavoro e vita privata incoraggiando i genitori a partecipare pienamente alla vita politica.”
Prossimi capitoli della saga parlamentare
Il Parlamento, nella plenaria che si terrà a Bruxelles il 12 e 13 novembre (data sacra per l’Europa), si appresta a votare questa nuova veste del voto delegato. Successivamente il testo sarà girato al Consiglio, quella combriccola di stati membri che dovranno approvarlo all’unanimità, perché l’unità è sacra… o forse solo una scusa per complicare le cose.
Qualora vi fossero modifiche (e quand’è che non ce ne sono?), il nuovo testo di legge dovrà essere approvato da più della metà dei deputati presenti. Infine, per arrivare alla resa dei conti, tutte le nazioni UE dovranno benedire la novità, ognuna a modo suo, scegliendo a piacere la propria procedura costituzionale: un’odissea burocratica degna di un romanzo epico.
Il contesto, ovvero l’arte della modernità parlamentare
Questa proposta non nasce dal nulla, ma è frutto dell’immancabile “impegno” del Parlamento Europeo, in queste vesti a tratti eroiche, nel promuovere la parità di genere e modernizzare gli standard lavorativi nelle istituzioni rappresentative. L’idea è stata lanciata all’inizio dell’anno da Roberta Metsola, la presidente del Parlamento, che evidentemente ha scoperto che conciliare politica e maternità non è solo un problema famigliare ma un cardine della democrazia avanzata.
Insomma, finalmente una svolta epocale: i voti non finiranno più sepolti sotto montagne di pannolini e lacrimucce da nanna, ma potranno esser tranquilli, delegati e sommessamente contati, nel nome della parità e degli orari che non finiscono mai.



