Vertice Ue: la Casa Bianca fa il giro largo sui dazi mentre sulla Gaza è un festival di litigi

Vertice Ue: la Casa Bianca fa il giro largo sui dazi mentre sulla Gaza è un festival di litigi

Un vertice europeo di metà anno, perché evidentemente tutti avevano bisogno di un po’ di tempo per sedersi attorno a un tavolo e discutere delle piccole emergenze degli ultimi mesi: dalla difesa – ovvero discutere del piccolo dettaglio che la NATO ha deciso di alzare la soglia di spesa militare dal 2% al 5% – passando per la situazione in Medio Oriente, senza dimenticare l’immancabile sostegno “infinito” all’Ucraina e, naturalmente, i negoziati infinite sulle tariffe doganali con gli Stati Uniti. Evidentemente, una lista spuntata di priorità!

Ieri la portavoce della Casa Bianca ha gentilmente precisato che la fatidica scadenza del 9 luglio per la tregua commerciale tra USA e UE “non è da intendersi come determinante”. Ossia: prendetela come un consiglio, non come un obbligo. Nel frattempo, la presidente von der Leyen ha intrattenuto i leader dell’Unione Europea a cena mostrandogli l’ultima proposta statunitense ricevuta il giorno prima, prolungando il confronto per ben tre ore. Due parole: “tempo ben speso”.

Passando al toccante dossier Medio Oriente, l’Unione Europea si è prodigata in un ennesimo esercizio di unanimità nel “deplorare la terribile situazione umanitaria a Gaza”, lamentando l’“inaccettabile numero di vittime civili” e i “criminali livelli di carestia”. Peccato che, nonostante questo coro corale, permangano le solite, insanabili divisioni sul come intervenire efficacemente per fermare le ostilità, sbloccare gli aiuti o, udite udite, ottenere il rilascio degli ostaggi da Hamas. Sarà che le soluzioni semplici sono troppo mainstream?

Per non farsi mancare niente, il presidente del Consiglio europeo António Costa – evidentemente stanco di consultare i suoi colleghi per ogni decisione “minore” – ha delegato l’Alta rappresentante dell’Unione, Kaja Kallas, a elaborare “possibili misure” da presentare al prossimo Consiglio Affari Esteri di luglio, sulla base di un accorato rapporto riguardante i presunti “problemi” nel rispetto da parte di Tel Aviv dell’accordo di associazione UE-Israele.

António Costa ha commentato in conferenza stampa, senza giri di parole, che “il rapporto è molto chiaro. Si tratta di una violazione sistematica dei diritti”. Sentite un po’: e chissà come mai gli “stati di diritto” si intromettono con tanta disinvoltura quando conviene. Magia diplomatica o semplice tattica politica?

Gaza causate da Israele“, hanno dichiarato i leader. Una presa di posizione così profonda che si è tradotta in nulla di più concreto di un invito a… continuare a discuterne e rimandare tutto a luglio 2025. Nel frattempo, la Signora Kallas si affanna, quasi fossero suggerimenti ad alta priorità, a intensificare i contatti diplomatici con la parte “interessata”.

Intanto, i sovrani d’Europa hanno aperto la giornata con il sogno di potenziare le loro capacità militari entro il 2030. Una cosa bella e semplice, richiesta alla sacra Commissione e all’Alta rappresentante Kallas di mettere nero su bianco una “road map” entro ottobre. Ma guai a pronunciare la parola magica: debito comune per finanziare la difesa è tabù, specie per i verginelli economici come Germania e Olanda, che come sempre remano in senso contrario.

Così, mentre la Commissione si trastulla con due strumenti da favola — 150 miliardi in prestiti di Safe e la “clausola nazionale di salvaguardia” che consente spese fino all’1,5% del PIL per la difesa — i Paesi con il fiato corto come Italia fanno la mossa del cavallo, ben consapevoli che ogni soluzione ha le sue belle controindicazioni. Però, viva la coesione europea!

Quel teatrino chiamato “Vertice UE” sull’Ucraina

Ovviamente, nessun summit europeo sarebbe completo senza il solito spoiler: Ungheria si distingue dall’orchestra e si rifiuta di firmare le conclusioni, isolandosi come fosse una rockstar delle decisioni contrarie. Il presidente Zelensky ha avuto la gentilezza di collegarsi in video per annunciare che Kiev è un casto modello di comportamento diplomatico, rispettando “ogni requisito”, anche quello surreale sulle relazioni con i vicini.

Budapest, invece, mette il bastone tra le ruote all’apertura del primo capitolo negoziale sull’adesione, brandendo come scudo un referendum (con il 95% di “no” al passaporto europeo per Ucraina) più che sospetto. Nel castello di Bruxelles si pensa che il perfido Orbán resterà ostile almeno fino alle elezioni del 2026, perché cambiare idea è da deboli.

I Ventisei ufficiali, in delirio di diplomaticismo, assicurano che l’UE è pronta ad alzare la voce a Mosca — magari con un nuovo “robusto pacchetto di sanzioni” capace di pizzicare ulteriormente le entrate energetiche russe. Francia, Germania, Italia e compagnia cantante attendono fiduciosi, ma il lieto fine sembra lontano: il tetto al prezzo del petrolio russo balla tra i 30 e i 45 dollari al barile, e dopo la freddezza del G7 il sogno di una stretta efficace si affievolisce.

Von der Leyen ha fatto i suoi giri diplomatici, incontrando il premier slovacco Fico, sperando in un miracolo per sbloccare l’impasse. Nel frattempo, i leader UE fanno sapere che il rinnovo delle sanzioni settoriali è sacro e sarà rispettato fino a fine luglio. A questo punto, la domanda più sensata sarebbe: e poi? Ma tranquilli, nessuno la farà.

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