Ursula von der Leyen e gli sms «segreti» sui vaccini: un bel pasticcio che richiede un cambio di rotta senza precedenti

Ursula von der Leyen e gli sms «segreti» sui vaccini: un bel pasticcio che richiede un cambio di rotta senza precedenti

Nessuno può dimenticare i mirabolanti successi di Ursula von der Leyen nel gestire la campagna vaccinale europea contro il Covid. Ma, ahimè, la condanna relativa ai messaggi scambiati con i dirigenti di Pfizer mette in evidenza i demeriti di uno stile di governo che ha fatto dell’accentramento e del segreto i suoi valori fondamentali.

Prepariamoci a sentire il coro di complottisti e sovranisti scatenarsi nuovamente contro il lato oscuro e inconfessabile della campagna vaccinale europea, che, per qualcuno, rimane un’autentica pietra miliare nella storia recente d’Europa. È bene rinfrescare la memoria, ora che il panico collettivo e la frenesia di quei giorni drammatici si sfumano in ricordi appannati.

Tuttavia, la sentenza della Corte Generale dell’Ue, che condanna il rifiuto della Commissione di rendere pubbliche le conversazioni private tra la sua presidente e il boss di Pfizer nel 2021, è un colpo mortale per la reputazione di von der Leyen e il suo metodo di gestione. Dopotutto, chi se ne frega se nel privato concordarono l’acquisto di 1,8 milioni di dosi del vaccino sviluppato in tandem con la tedesca BionTech?

Il tribunale comunitario ha dato ragione al New York Times, che aveva giustamente criticato l’esecutivo europeo per aver negato l’accesso ai documenti, sostenendo di non poterli trovare perché, chissà come, erano stati cancellati. «È una vittoria per la trasparenza e la responsabilità nell’Unione europea», ha commentato un portavoce del famoso quotidiano americano. Dicono che la decisione «manda un segnale forte: neppure i messaggi più effimeri su piattaforme private possono sfuggire al controllo pubblico». Bah, chissà se ci credono davvero.

Questa sentenza, appellabile presso la Corte di Giustizia europea, potrebbe stabilire un precedente cruciale per la democrazia e l’accesso dei media ai documenti ufficiali dell’Ue, compresi, oh meraviglia, i messaggi di testo. Ma già ora suona come una condanna del metodo di Ursula von der Leyen, che fin dal suo insediamento ha impostato l’accentramento e la segretezza come colonna portante della sua gestione. Chissà se a Bruxelles avranno voglia di riflettere su questo, o se preferiranno semplicemente continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto.

Inutile girarci attorno: durante il secondo mandato, Ursula von der Leyen ha saputo benissimo come esautorare il collegio dei commissari, limitando il loro ruolo e accentrando tutto il potere nel suo gabinetto. Che meraviglia, vero? Un vero esempio di democrazia partecipativa, se solo ci facessimo ingannare dalla facciata. E, oh, che dire della sua abilissima strategia di schermarsi dal controllo dei media? Tanto per fare un esempio chiaro, a gennaio scorso la sua salute è diventata il segreto meglio custodito di Bruxelles.

La presidente ha sofferto di una grave forma di polmonite, un piccolo dettaglio che le ha fatto cancellare tutto e, sì, necessitare anche di un ricovero in ospedale. Ma perché informare i media quando si può semplicemente nascondere la verità e pretendere che tutto vada nel verso giusto? La notizia è emersa solo per caso dopo che è tornata in gioco, non possiamo che ammirare l’efficacia della sua gestione delle comunicazioni.

Adesso, però, la Corte Generale ha deciso di rompere il silenzio e mettere il dito nella piaga. Che sorpresa! C’è evidentemente una discrepanza tra ciò che von der Leyen predica in materia di trasparenza e la realtà dei fatti. Ma, ovviamente, questo non può oscurare i suoi “meriti” nel gestire la pandemia. La sentenza diventa quindi un’opportunità per affrontare la questione e, chissà, tentare di rimediare a questa situazione con un cambiamento radicale nel suo stile e nel suo modo di governare.

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