Nel primo dibattito in stile americano della campagna elettorale, il clima si è finalmente acceso: i giovani ricercatori stanno nel mirino e, guarda caso, la fuga dei laureati al Politecnico diventa la hot topic della serata. È incredibile come basti varcare i confini torinesi per vedere tre candidati, Raffaele Caterina con una cravatta rossa che urla “Trump”, Cristina Prandi e Laura Scomparin, tirare fuori una grinta che nemmeno il miglior caffè di Torino potrebbe replicare. Sì, sono pronti a darsi battaglia, ma con quale scopo, esattamente?
Il teatro della competizione si svolge martedì pomeriggio al polo didattico di Orbassano, con un moderatore un po’ più serio di un talk show e la tensione che si taglia con un coltello. Gianluca Cuniberti, candidato prorettore e paladino della cravatta sobria, non perde tempo e si alza dalla sedia come se avesse appena visto un’invasione aliena. Laura, stai esagerando con il tempo a disposizione! Ma chi lo direbbe mai ad uno che ha già piani di avanzamento di carriera nel suo dipartimento?
Nel dibattito, uno dei momenti di massima intensità arriva quando Cristina Prandi fa crollare la narrazione del “tutto va bene”. Ecco la bomba: la fuga dei laureati da Unito a Polito è un vero e proprio dramma nazionale. “Abbiamo ricercatori con borse di dottorato poco sopra la soglia di povertà”, dice con quella serietà che solo chi ha passato troppo tempo a leggere rapporti ufficiali può avere. E non possiamo certo parlare di un ateneo attrattivo con stipendi che fanno venire voglia di piangere.
Ma non ci si ferma qui. La lezione del Politecnico è chiara: “loro” aumentano le borse e il buon Raffaele assiste allo spettacolo con la preoccupazione di un genitore che vede il figlio andare a vivere da solo. “Stiamo già sperimentando un esodo di laureati”, prosegue. Già, certo: perché chi non sognerebbe di scappare verso un ateneo con stipendi più dignitosi? Naturalmente, non è solo una questione di numeri, ma di equità e sostenibilità. Un dottorando dovrebbe potersi mantenere autonomamente: è anche un concetto di libertà, non credete?
La professoressa di Chimica ha una proposta, perché ovviamente nel bel mezzo della battaglia sul precariato, “le politiche attenti di bilancio” suonano come una dolce melodia. Risparmi per contratti stabili, e magari un accenno alla defiscalizzazione. Ma aspettate un attimo: chi mai l’ha vista una “politica attenta di bilancio” in questo contesto? È come chiedere a un pesce di arrampicarsi su un albero.
Oh, ma che sorpresa! Nella gloriosa università di Torino, il mondo accademico è afflitto da un’epidemia di precariato che non fa altro che aumentare. Attualmente si parla di 1.072 assegnisti di ricerca e circa 500 ricercatori di vario genere. Insomma, un vero e proprio esercito di precari, come se le università italiane fossero diventate i centri di addestramento per la nuova generazione di scienziati senza futuro.
E che dire della professoressa Scomparin di Giurisprudenza? Che personaggio! Propone di rimettere in circolazione il famigerato «borsellino del rettore», per allocare i punti organico alla stabilizzazione degli attuali lavoratori. Ma chi lo sarebbe mai aspettato? La priorità è sempre quella: tenere a galla chi è già a bordo, piuttosto che riformare davvero il sistema.
Naturalmente, non poteva mancare la frecciatina alla collega Cristina. “Sono felice che tu abbia citato la defiscalizzazione, ricordi che fui io a scrivere l’emendamento discusso in Parlamento?”, dichiarò con un filo di soddisfazione. Un bellissimo modo di dire “Ho ragione io!” mentre il paese affonda nel debito e nella mancanza di fondi.
Infine, si fa avanti Raffaele Caterina, con un’invocazione al governo: è lì che risiedono le responsabilità, dice. È un dovere morale protestare contro lo scandaloso sottofinanziamento delle università. Grazie e mille, Raffaele, ma non è che ci volevano due lauree in giurisprudenza per arrivarci. Le università, dopotutto, sono il futuro del paese, ma sembra che le linee strategiche siano disegnate da qualcuno che ha l’orientamento di un pesce rosso.
Quindi, cari lettori, continuate a seguire queste disavventure accademiche. Chissà, magari un giorno scopriremo che il sistema non è realmente così obsoleto come sembra. Oppure no. Chi può dirlo?