Immaginate un’Italia che decide di rendere la propria cittadinanza più accessibile. Stranieri extracomunitari, preparatevi: chi ha vissuto qui per cinque anni potrebbe diventare un cittadino. La Svimez, in un sorprendente colpo di scena, si lancia a sostenere questa proposta come il grande piano per il “rafforzamento del fondamento democratico” del Paese. Ah, perché è così facile ottenere accoglienza in una nazione che è nota per il suo amore nei confronti della burocrazia! Non è esattamente il sogno di ogni immigrato?
Svimez ci informa che garantire i diritti di cittadinanza non solo aiuta “l’inclusione”, ma migliora anche le prospettive demografiche. Già, perché non c’è niente di meglio che dare la cittadinanza a chi ci abita per aumentare il numero di giovani. Dopotutto, le previsioni demografiche dell’Istat parlano chiaro: l’Italia sta diventando un museo di anziani. Ma chi se ne frega, giusto? Solo un paio di scelte politiche ambiziose e avremo risolto tutto.
Ma ecco il colpo di genio: la Svimez stima che, nel miracoloso caso in cui il referendum raggiunga il quorum, potremmo avere fino a 1.417.374 nuovi cittadini. Praticamente un’intera città che si unisce al festival della burocrazia italiana! E, sorpresa sorpresa, il Centro-Nord avrà la sua fetta di 1.231.317 cittadini; il Mezzogiorno si accontenta di 204.003. Ma che fortuna! La distribuzione tra le province sarà come l’apparecchiatura di una cena: alcuni avranno tanto, altri appena un’assaggino.
E chi avrebbe mai pensato che le grandi città come Milano e Roma avrebbero fatto da magneti per i nuovi cittadini? Con rispettivamente 157mila e 134mila potenziali beneficiari, il 20% della totalità – non un brutto risultato per un Paese che ama sentirsi in difficoltà. Le province più piccole? Beh, tutto ciò che può essere detto è che non si trovano neanche tra le prime dieci. Napoli e Torino si scambiano i rispettivi potenziali, ma, con una certa ironia, a Bari tocca il titolo di seconda spiaggia di immigrati.
Lo studio offre anche uno spaccato sui migranti minorenni. Un vero colpo di scena: Milano e Roma stravincono, con 33.207 e 25.015 bambini pronti a brandire la bandiera tricolore. Le province più interne stanno lì, con meno di 200 minorenni, un numero così piccolo che si potrebbe quasi dire che stiamo parlando di una manciata di briciole. Ma chi lo sa? Ogni ragazzino conta, soprattutto quando si rischia di chiudere le scuole!
Anche se la Svimez avverte che bisogna combattere la “percezione dell’immigrazione come problema”, perché, oh, mai sentito parlare di risorse? Certo, l’immigrazione è quel dramma che di certo non aiuterebbe nell’innovazione demografica e produttiva. Diciamo la verità: chi non vorrebbe una mano dal nuovo vicino di casa, che non solo farà sapere a tutti come si vive bene nel nostro bel Paese, ma porterebbe anche un po’ di sano caos in più?
Affermare che concedere la cittadinanza italiana a chi ha condiviso culture e valori per almeno cinque anni sia un atto di giustizia e uguaglianza sociale è decisamente interessante. Perché, chi non vorrebbe vivere in una società inclusiva? Già, il futuro sembra brillante quando si parla di accoglienza come “investimento”. Peccato che i dati demografici al 2035 parlano chiaro: un calo del 14,2% della popolazione minorile in Italia, con punte negative nel Sud. Roba da far rabbrividire delle isole come la Sardegna, che si appresta a un drammatico -26%. Ottimo modo per costruire una società “coesa”, non trovate?
Secondo la nota di Svimez, l’afflusso di nuove famiglie potrebbe interrompere quel circolo vizioso spaventoso di spopolamento e servizi essenziali in declino, a partire dalle scuole. Peccato che, in Italia, 3.000 comuni, il 38% del totale, abbiano una scuola primaria con meno di 125 alunni, la soglia critica per sopravvivere. E indovinate un po’? Tra gli iscritti, i bambini stranieri costituiscono il 10,6% in media. Senza di loro, molte scuole finirebbero nel dimenticatoio. Nel Mezzogiorno, la percentuale scende al 5%, e in Sardegna a un miserabile 2,5%. Ma certo, l’attrattività è tutto!
Ridurre i tempi per ottenere la cittadinanza potrebbe stimolare le famiglie straniere a stabilirsi in queste aree in via di estinzione. D’altronde, chi non gradirebbe un’accoglienza capace di garantire i “servizi essenziali” per tutti, compresi quelli per nascita e naturalizzazione? La vera sfida sarà, ovviamente, inserire questa riforma in un programma di coesione territoriale degno di nota. Sì, perché non c’è nulla di meglio che garantire pari opportunità lavorative e retributive, mentre si ignora il crescente baratro dei divari sociali e le differenze nella distribuzione dei bambini stranieri.
“Estendere i diritti di cittadinanza degli stranieri”, come annunciato al referendum dell’8/9 giugno, non è solo un’incredibile battaglia per la democrazia. Ma oh, certo, si tratta anche di ribaltare la visione tradizionale sull’immigrazione, da minaccia a opportunità sublime per il futuro della nazione. Favorire l’arrivo di nuove famiglie sarebbe un fantastico antidoto contro le avversità demografiche, non trovate? Luca Bianchi, il Direttore Generale della Svimez, sembra avere una ricetta magica per far scomparire il circolo vizioso di spopolamento e carenza di servizi. Chissà, forse funziona anche con le favole!



