Il caro Donald Trump non perde occasione per trasformare ogni crisi in un’occasione per smantellare pezzo dopo pezzo il governo federale, e lo shutdown di ottobre non fa eccezione. Dal primo giorno di questo congelamento delle spese – colpa loro, ovviamente, o almeno così vuole farci credere – il presidente ha deciso che è il momento perfetto per portare avanti il suo piano di licenziamenti su scala massiccia, motivati filosoficamente più che da una reale necessità economica.
La bomba è stata sganciata direttamente dal portavoce della Casa Bianca, che ha preannunciato “probabilmente migliaia” di tagli al personale federale, quasi come se fosse un gioco di società in cui tocca a lui scegliere quali pedine sacrificare. Trump ha persino annunciato un incontro con Russel Vought, il celebre direttore dell’ufficio bilancio, per “determinare quali agenzie democratiche, quasi tutte una truffa politica, vanno tagliate”. Una definizione così elegante e sopra le righe che fa quasi ridere – o quasi.
Il presidente ha anche espresso la sua meraviglia per l’opportunità offertagli, attribuendo la colpa dello shutdown ai “estremisti democratici”. Perché, come ben sappiamo, non può essere colpa sua o del fatto che il suo partito sta giocando a fare la guerra politica con il bilancio federale.
Peccato che la maggioranza degli americani la pensi diversamente: un sondaggio del Washington Post rivela infatti che un robusto 47% ritiene responsabili Trump e i repubblicani, mentre appena il 30% punta il dito contro i democratici. Come dire: la narrativa della colpa si muove in ben altra direzione, ma chissà per quanto ancora potrà reggere questo teatrino.
Naturalmente, gli aspetti più “interessanti” devono ancora venire. Trump ha detto che discuterà con Vought se i tagli saranno “temporanei o permanenti”. Un dettaglio di poco conto, visto che il sodale e brillante mente dietro il famigerato “Project 2025” è noto per i suoi piani di ristrutturazione ultra-conservatrice del governo: un documento che, ironia della sorte, Trump aveva preso le distanze durante la campagna elettorale, salvo poi affidare cariche chiave a questi stessi ideologi estremisti dopo la vittoria.
Come se non bastasse, lo shutdown ha fatto chiudere i battenti anche alla NASA. Più di 15.000 dipendenti sono stati messi in congedo forzato, mentre solo 3.000 eroi superstiti restano a garantire la sicurezza delle missioni spaziali, quelle vere, che non si possono interrompere senza rischi altissimi. Un aggiornamento del 29 settembre ha fatto sapere che, nonostante tutto, la Stazione Spaziale Internazionale continua a funzionare senza intoppi, con controllori e ingegneri che danno fondo a ogni risorsa – anche di notte, se serve – per mantenere al sicuro gli astronauti e garantire che i sistemi non cedano.
Inutile dire che anche i satelliti meteorologici e quelli per l’osservazione terrestre vanno avanti, perché non si può mica metter a rischio la sicurezza pubblica solo per un capriccio politico. Quindi sì, le condizioni meteo, i disastri naturali e la pattuglia contro i detriti spaziali continuano a essere monitorati, con buona pace delle copertine di qualche polemica sterile.



