Trento, il trionfo della maggioranza leghista: un giudice ‘amico’ di Fugatti al Tar, e il Pd alza il velo sulla vergogna istituzionale

Trento, il trionfo della maggioranza leghista: un giudice ‘amico’ di Fugatti al Tar, e il Pd alza il velo sulla vergogna istituzionale

La carriera di Giacomo Bernardi è un autentico capolavoro del nepotismo e dell’incoerenza, non trovate? Inizia come candidato sindaco per il centrodestra ad Arco, poi spicca il volo e diventa il capo dell’Avvocatura in Provincia. Infine, come un colpo di scena da teatro dell’assurdo, viene nominato difensore civico e, quindi, magicamente, giudice laico del Tar di Trento. Chi non sarebbe entusiasta di una carriera così?

E i giudizi sulla sua nomina sono altrettanto brillanti. Non ci sono sfumature: c’è chi parla di “un livello schifoso della gestione delle istituzioni”, come Alessio Manica del PD. E chi, come Francesco Valduga di Campobase, sottolinea che “questo comportamento non ha nulla a che vedere con il rispetto istituzionale”. Lucia Coppola di Avs ha deciso di alzare ulteriormente il tiro definendo l’atteggiamento “anti-democratico”, mentre Filippo Degasperi di Onda parla di un “corto circuito senza precedenti”. Che belle parole! Dobbiamo davvero farci entusiasmare da tale fervore critico?

Il giorno dopo il fatidico via libera in Aula, praticamente orchestrato dalla sola maggioranza, l’opposizione non risparmia critiche a lui, al governatore Maurizio Fugatti e all’intero centrodestra. Non mancano inviti alla dimissioni per Bernardi dalla carica di difensore civico, accusandolo di non aver alcun rispetto per un’istituzione che avrebbe dovuto rappresentare al meglio. Ironia della sorte, chi mai potrebbe pensare che la carica di difensore civico possa essere ricoperta da qualcuno che non vi si interessa minimamente?

Ovviamente, l’opposizione non risparmia neanche le critiche alla carriera di Bernardi. Degasperi ribadisce il concetto: “Non siamo stati noi a dire che Bernardi non fosse la persona adatta per fare il difensore civico?” Le “resistenze” erano già un tema di cui parlava Valduga e l’equilibrio generale era stato raggiunto, o così pensavano. Ma, come sempre nella politica, alcune perplessità non si dissolvono mai, anzi, si moltiplicano.

Insomma, la carriera di Bernardi sembra un paradosso: da candidato sindaco a dirigente di un’Avvocatura sotto accusa, fino a diventare un giudice presso il Tar, dove si troverà a fronteggiare colleghi che lo hanno sfidato legalmente. Un’opera teatrale che si scrive da sola! Non c’è da stupirsi se Degasperi avverte che avremo “un giudice del Tar che non ha ancora chiarito del tutto la sua posizione nella vicenda Trento Rise”. Ma chi ha bisogno di chiarezza quando l’amicizia politica conta più di tutto, giusto?

In conclusione, Bernardi sarà senza dubbio “il giudice di Fugatti”, un brillante epiteto che racchiude perfettamente il senso di questa nomina: un magistrato al servizio dell’istantanea politica. Che bello vivere in tempi così distintivi, dove le istituzioni brillano di luce propria… oppure no?

La rabbia delle opposizioni è un fenomeno affascinante, specialmente quando Fugatti decide di proporre Bernardi come giudice del TAR in quella che possiamo definire una mossa fulminea. Naturale che anche la maggioranza si sia sentita colta di sorpresa: «Abbiamo saputo il nome due ore prima del voto», commenta Valduga con un aplomb che solo i politici sanno sfoggiare. E non finisce qui: «Non ci è stato presentato il candidato, né ci sono state illustrate le motivazioni dietro questa scelta, e nemmeno perché Bernardi rinuncia al ruolo di difensore civico». Davvero pratico, non trovate?

Il sipario si alza su un’altra tragedia greca quando Coppola osserva: «Ancora una volta assistiamo in consiglio a eventi che riguardano l’ambito ad personam». La trama si infittisce quando Manica fa notare che «le figure chiamate a guidare le istituzioni vengono scelte da questa maggioranza con criteri di fedeltà e di equilibrio politico». Ah, l’interesse dell’istituzione, un concetto che sembra avere l’appeal di una zucchina all’acqua. E non possiamo dimenticare l’affondo del capogruppo dem: «Stare vicino al presidente paga. E paga bene: l’addetto stampa del presidente in Regione, ad esempio, è migrato in Provincia con un aumento di stipendio». Ecco, un classico esempio di come i legami familiari, pardon, politici, aprano porte invece di verificarne l’apertura.

Passiamo ora al centrodestra, che, come al solito, ci regala la sua dose di imbarazzo. Anche se «qualche componente della maggioranza ha mostrato imbarazzo di fronte all’indicazione di Bernardi», alla fine, al momento del voto, nessuno ha osato tirarsi indietro. Manica sottolinea che «questo atteggiamento di occupazione, dove l’unico problema è garantire un pezzo di torta a tutti, va oltre ogni pudore». E qui non possiamo fare a meno di chiederci: ma che pudore? L’idea che si possa avere una nomina con contenuto politico, ma non più istituzionale, è una piccola perla fornita da Andrea de Bertolini (Pd). Spiegaci, oh saggio, come possa il cittadino sentirsi giudicato in modo equo quando uno dei giudici ha un curriculum che lo identifica come espressione governativa. Belli i paletti della democrazia!

«Una brutta pagina», conclude de Bertolini, «perché degenera il significato stesso di nomina istituzionale», aprendo così le porte a una stagione di vera e propria «spoliticizzazione», se possiamo osare. E adesso? «Riporteremo la questione in Aula», promette il nostro eroe Manica. «Presenteremo — aggiunge Valduga — una mozione per discutere ciò che non abbiamo potuto discutere. E ci riserveremo ulteriori azioni». E no, non è finita qui: «Bernardi deve lasciare subito l’incarico da difensore civico». L’epilogo si avvicina con un’incredibile stoccata finale: «Non vorremmo scoprire che il vero problema era l’indennità», dice il capogruppo di Campobase, lasciando tutti con una scottante domanda: qual è il vero prezzo dell’occupazione?

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