Trent’anni di governo in Veneto sotto il segno di due presidenti, Giancarlo Galan e Luca Zaia. Eppure, ci si interroga su come possa un principio fondamentale della democrazia — l’alternanza — essersi trasformato in un monolita di potere. Con la recente sentenza della Consulta che dichiara illegittima l’estensione dei mandati da due a tre nelle Regioni a statuto ordinario, si apre un dibattito sull’opportunità di mantenere statu quo o ripensare l’intero sistema.
Il Futuro della Politica Regionale
Chi si sarebbe mai aspettato che i “Dogi” veneti potessero essere messi in discussione? L’alleanza in formazione tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia promette di creare una sorta di accordo di “non aggressione”. Si parla di dividere potere e cariche in modo che ogni partito possa esibire la propria quota di vittoria, benché sarebbe interessante interrogarsi su che cosa significhi realmente accontentare i militanti. È la storia a dirci che gli accordi tra partiti possono facilmente trasformarsi in fittizie alleanze, destinate a svanire al primo segnale di crisi.
Disparità tra Statuti
Il professor Sergio Gerotto solleva un punto: la divaricazione tra Regioni a statuto ordinario e speciale è giustificata da differenze storiche e giuridiche. Ma quanto è legittimo che queste differenze diventino un pretesto per giustificare anni di stagnazione politica? La sua affermazione che “due mandati pieni” possano essere la risposta suggerisce una certa elasticità nell’interpretazione della Costituzione. Non è paradossale che il rafforzamento delle istituzioni si basi su un sistema che, di fatto, premia la continuità rispetto al rinnovamento?
Il Significato dell’Alternanza
Ogni cambio di presidente ha l’eco di un cambiamento di paradigma. Eppure, anche in questo caso ci si ritrova a discutere del concetto di alternanza. Trent’anni con solo due presidenti rappresentano un’eccezione in un sistema che dovrebbe, per definizione, garantire una regolare turnazione. «È difficile anche interrogarsi su cosa significhi essere un presidente eletto a suffragio universale quando questo non ha mai avuto una vera opportunità di rinnovarsi», riflette Gerotto. Ma chi può dire che questo ciclo non abbia generato una certa stagnazione?
La Realpolitik e le Promesse Infrante
Ogni promessa politica è come un pallone, facilmente gonfiabile ma che rischia di scoppiare. Nella giostra delle elezioni e delle alleanze, la retorica dell’“alternanza” diventa solo una frase di circostanza. La verità è che si guarda più all’interesse immediato che al benessere di una popolazione sempre più disillusa. I seggi sono realtà costantemente ri-negoziati, dove le parole e i propositi perdono di significato.
Quali Soluzioni Possibili?
Se la situazione attuale è caratterizzata da contraddizioni e vuoti di potere, quali possono essere le soluzioni? Ristrutturare un sistema che sembra aver dimenticato la partecipazione attiva, promuovere una legislazione che favorisca l’innovazione e l’alternanza reale, o magari ridare voce a cittadini che spesso si sentono come semplici comparse nel grande teatro della politica? Certo, tutto questo è più facile a dirsi che a farsi, ma lo sappiamo tutti: è già un piccolo traguardo riconoscere il problema.
Quando un presidente del Consiglio perde la fiducia, le Camere non si sciolgono. Ironia della sorte, questo crea un Consiglio regionale con poteri enormemente ridotti, il quale si trova in una posizione precaria, quasi ricattatoria. D’altronde, la norma dei due mandati è presentata come una sorta di salvagente per garantire l’alternanza e prevenire il concentramento di potere. Ma come si può davvero bilanciare la continuità amministrativa e l’influenza politica?
È l’efficacia o la durata che conta?
Governare per quindici anni—un sogno al quale molti aspirano—offre senza dubbio opportunità per completare opere come infrastrutture o leggi necessarie. Ma dove sorge il dilemma? Sarà che l’ago della bilancia penda più verso la continuità o verso il dittatorialismo? E, di fatto, esiste un intervallo di tempo universale per amministrare bene? La risposta non è semplice. Dipende dagli “anticorpi” di un sistema contro derive autoritarie. In una democrazia partecipativa come la Svizzera, un lungo mandato potrebbe non destare timori, mentre in un paese come l’Ungheria, il prolungamento della permanenza al potere potrebbe diventare inquietante.
Il presidente e i parlamentari: la questione della legittimità
Ma ecco, il discorso si allarga ai parlamentari. Ci sono rappresentanti eletti a Roma da venti o addirittura quarant’anni, planetari che sono permanenti, mentre il presidente di una Regione occupa una posizione di esclusivo comando, senza però essere eletto direttamente. Quindi perché non mettere in discussione questo sistema? Qualcuno ha fatto un tentativo, ma con scarso esito. Non sarebbe forse opportuno stabilire un limite anche per i parlamentari?
Cosa accadrà in Veneto?
Dopo trent’anni di governo, in Veneto, gli equilibri sono destinati a cambiare. Ma cosa ne sarà degli accordi tra i vari soci-politici? Se dopo due governatori così influenti ci sarà bisogno di un accordo tanto forte, è lecito dubitare delle attuali armonie politiche e dei legami tra partiti. Qui si può osservare una chiara dimostrazione: i contrappesi funzionano, ma richiedono un costante riadattamento per garantire alternanza e bilanciamento.
Limiti e opportunità del potere
Ma è davvero necessaria una riduzione della durata degli incarichi? Il potere, come si sa, tende a modificare le persone. Quel piccolo potere che attrae costantemente può inibire la creatività e l’entusiasmo. Certo, un lungo mandato permette di realizzare progetti e di poter esprimere una visione chiara, ma è indiscutibile che ci debba essere un limite, un presupposto fondamentale. Superare la soglia dell’entusiasmo è facile; mantenere vivo l’impegno, meno. Serve un ricambio per favorire energie nuove e per sfuggire alla **stasi**.
Possibili soluzioni: un gioco di parole?
In un mondo ideale, potremmo discutere su come ristrutturare il sistema, evitare che ci si accovacci su poltrone dorate e restituire la freschezza alla politica. Magari introducendo un limite di mandato per tutti gli incarichi, dall’amministrazione pubblica all’accademia. Ma chi lo farebbe, quando il potere si attacca come una cozza alla roccia? L’ironia di tutte queste riflessioni è che, mentre si invocano riforme, alla fine ci si ritrova a osservare i medesimi volti sull’orizzonte politico, come un eterno déjà vu.