Nel teatrino geopolitico, il palcoscenico è insolitamente affollato. Dopo l’orribile attacco della Russia alla città ucraina di Sumy, con un tragico bilancio di 34 morti e 117 feriti, le dichiarazioni del portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ci riportano in un mondo di confusione e ambiguità. Secondo Peskov, i negoziati tra Stati Uniti e Mosca non porteranno a ‘risultati rapidissimi’, quasi a volerci far credere che la pace sia un abito che si possa indossare quando fa comodo.
Se da un lato Peskov afferma che ‘tutto sta procedendo molto bene’ nei colloqui bilaterali, dall’altro è evasivo riguardo alla proroga della moratoria sugli attacchi ai siti energetici. Sempre con l’illusione di una pace imminente, fa notare che la decisione dipenderà da Putin, il quale valuterà i ’30 giorni’ a partire dall’accordo, periodo in cui Kiev sarebbe colpevole di non aver rispettato gli accordi. E così, ci ritroviamo a discutere del rispetto di accordi fissati sul fondo di una guerra già in atto — un vero e proprio controsenso.
Il direttore del Secondo Dipartimento del ministero degli Esteri russo, Alexei Polishchuk, ci informa che Mosca è pronta a ‘impegnarsi in negoziati che tengano conto delle realtà moderne’ del conflitto. Ma quali sarebbero queste realtà, se non quella che le ‘cause profonde’, come le definiscono, sono spesso le stesse pretesa di violazione degli accordi e di discriminazione giustificate da una narrativa che pare confezionata su misura?
Sergey Lavrov ha definito ‘cause profonde’ le incomprensioni relative all’espansione della Nato e i presunti torti commessi nei confronti delle minoranze russofone in Ucraina. È interessante notare come questa narrazione si intrecci con le richieste russe, che, secondo un think tank americano, equivalgono a una capitolazione dell’Ucraina stessa e all’instaurazione di un governo pro-russo — un paradosso che farebbe arrossire la migliore delle commedie.
Esistono affermazioni che pongono dubbi sulle reali intenzioni del Cremlino. Le dichiarazioni di Peskov e Polishchuk sembrano segnalare il rifiuto dell’approccio di Trump, che propugna un cessate il fuoco prima di negoziare un vero accordo di pace. Quello che emerge è un’impossibile sinfonia: le note degli obiettivi di guerra del Cremlino non riescono a armonizzarsi con la melodia del tentativo di pace di un presidente.
L’ombra del cessate il fuoco
Secondo l’ISW, un futuro cessate il fuoco dovrebbe includere meccanismi di monitoraggio robusti, considerata la tendenza russa a dipingere Kiev come colpevole di violazioni del cessate il fuoco senza mai fornire prove concrete. Ma ci si domanda: quali meccanismi potrebbero essere ritenuti accettabili dal Cremlino? E cosa ci assicura che le violazioni siano tutte dall’unico lato del fronte?
La manipolazione della narrazione
A dire degli analisti, le vaghe condizioni del cessate il fuoco sono sfruttate dai funzionari russi per disseminare affermazioni non supportate in un contesto di disinformazione. Le forze russe potrebbero perfino portare attacchi sotto falsa bandiera, accusando Kiev di violazioni e giustificando così la ripresa delle ostilità. Quale credibilità si può avere in un tale contesto?
Per concludere, tutto questo rimanda a una realtà che ha ben poco di desiderabile. Putin ha legittimato la sua posizione affermando che l’attuale governo ucraino è illegittimo, creando un preludio perfetto per future violazioni del cessate il fuoco. È un gioco che orchestra su un palcoscenico di incertezze e ambiguità.
Possibili vie d’uscita?
Cosa ci rimane? La definizione di un cessate il fuoco che non si riduca a un insieme di buone intenzioni è il primo passo, ma in un panorama così nebuloso, sono necessarie misure concrete e trasparenti. Gli occhiali da sole potrebbero aiutarci a non vedere le contraddizioni in gioco. Ma forse sono quelle contraddizioni ad offrirci un’opportuna dose di ironia su quanto poco sembriamo imparare dalla storia. Cedere all’illusione di pace potrebbe rivelarsi più dannoso di un ripensamento radicale — un’alternativa che, irrisori messaggi a parte, sembra ben lontana dall’essere percorribile.
Un cessate il fuoco temporaneo per gli attacchi alle infrastrutture energetiche? Certamente, ma solo se sarà accompagnato da meccanismi di monitoraggio robusti, senza i quali il rischio di violazioni potrà essere solo registrato, e non giudicato. Un vero paradosso: ci lamentiamo dell’assenza di controlli efficaci, mentre i funzionari russi sembrano più inclini a scartare qualsiasi tipo di monitoraggio significativo. Ma chi lo sa? Potrebbe trattarsi solo di un gioco di parole che lascia a desiderare, visto che nemmeno l’ipotesi di un contingente europeo di pace è stata accettata.
Sono i caschi blu in cima alla lista?
Il discorso sui caschi blu è avvolto in un certo mistero. Secondo Polishchuk, i tempi non sono maturi e prima bisogna raggiungere un accordo di pace tra Russia e Ucraina. Una faticosa dimostrazione che, anche nel bel mezzo delle atrocità, i processi burocratici e le attribuzioni di potere rimangono ineluttabilmente lenti e ingarbugliati. E mentre tutto ciò avviene, una Coalizione, guidata da Francia e Gran Bretagna, cerca di fare la sua parte, anche se la definizione di “forza di rassicurazione” suona più come un eufemismo che una vera intenzione di pace.
Chi inizia una guerra? E perché?
Arriviamo a quelle che solo pochi osano chiamare commenti lampanti. Donald Trump non ha fatto certo mistero del suo disprezzo per Volodymyr Zelensky e per Joe Biden, descrivendo l’operazione guerrafondaia come un “lavoro orribile”. In questo balletto di colpe, troviamo il tycoon dubbioso sul fatto che Putin avrebbe dovuto dare inizio a questa guerra, mentre contemporaneamente accusa i leader americani di non aver fatto abbastanza per prevenirla. Un’operazione di scarica barile che sa di déjà vu: chi è realmente responsabile quando si parla di conflitti dilaniano queste contraddizioni?
Il gioco delle colpe
“Questa è una guerra che non avrebbe dovuto iniziare” afferma Trump, mentre infila nel discorso il richiamo a un presunto complotto elettorale. Se la guerra è “la guerra di Biden”, qualcuno dovrebbe spiegargli che non ci si può auto-assegnare il merito di aver evitato un conflitto mentre si continua a gettare fango su chi è al potere. E mentre il generale Keith Kellogg accusa Mosca di aver “oltrepassato ogni limite”, Trump si lancia in affermazioni che oscillano tra il dispiacere e una sorta di distacco opportunistico.
Cosa ci riserva il futuro?
Alla fine, il problema rimane: chi ha davvero la responsabilità di questi eventi dice la verità? La risposta, purtroppo, ci conduce verso la constatazione che il conflitto durerà finché le fondamenta su cui si basa continui a non avere un vero custode. E così, mentre è facile puntare il dito, la domanda cruciale è: quali soluzioni realmente credibili possiamo immaginare in questo contesto? Forse dobbiamo smettere di cercare colpevoli e iniziare a pensare a come creare un dialogo che superi le vite spezzate, le promesse non mantenute e la retorica sconnessa di pochi in alto. Con un pizzico di ironia, ci si potrebbe chiedere: “E se tutto ciò che hanno promesso in passato non fosse altro che un sogno irrealizzabile?”