Taiwan ha deciso di complicare ulteriormente la vita a due dei più grandi giganti tecnologici cinesi: Huawei e la Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC), il principale produttore di chip della Cina. Le ha inserite in una lista nera che vieta la vendita di qualsiasi prodotto senza un’autorizzazione esplicita del governo dell’isola.
L’ultima versione dell’elenco – giustamente definito “di entità” ma senza clamori o comunicati pubblici, quasi un colpo di scena silenzioso – è stata pubblicata sul sito dell’Amministrazione del Commercio Internazionale di Taiwan. Non solo le due star della tecnologia sono finite in blacklist, ma anche molte delle loro sussidiarie, nazionali e internazionali, sono state incluse nel blocco. Da ora, ogni azienda taiwanese deve passare attraverso il timbro ufficiale del governo di Taipei prima di pensare di vendere qualcosa a questi “clienti indesiderati”.
Le motivazioni? Le nuove restrizioni limitano, seppur solo in parte, l’accesso di Huawei e SMIC a quei materiali e tecnologie fondamentali per la produzione di chip destinati all’intelligenza artificiale, oltre che per la realizzazione di impianti industriali per lo stesso settore. Insomma, un modo elegante per mettere i bastoni fra le ruote a due colossi decisamente scomodi.
Va detto che Taiwan non è esattamente nuova a queste mosse. Da anni vieta l’esportazione verso la Cina di apparecchiature cruciali per la fabbricazione di chip, come le macchine litografiche. Ma, fino a poco tempo fa, non aveva mai avuto il coraggio – o forse la voglia – di inserire nomi così pesanti come Huawei e SMIC nella sua famigerata lista nera.
Curiosamente, però, TSMC – il fornitore chiave di giganti come Apple e Nvidia – aveva già stoppato le forniture a Huawei nel 2020, dopo che gli Stati Uniti avevano imposto le proprie sanzioni. Insomma, in qualche modo la questione era già incanalata verso questo risultato, prima che Taiwan decidesse di ufficializzarla.
Ovviamente, questa mossa non può prescindere dal contesto di tensioni che si stanno accumulando tra Cina e Taiwan. L’isola, che si governa da sola dal 1949, è considerata da Pechino come una “provincia ribelle” da riportare all’ovile. E non si tratta di mere parole: la Cina ha sempre lasciato intendere che, per raggiungere quella che definisce “riunificazione”, non esclude neanche l’uso della forza.