Nel primo semestre del 2025, ben 6.205 minori stranieri non accompagnati hanno fatto capolino in Italia, rappresentando il 18% del totale degli arrivi via Mediterraneo. Per chi ama i numeri, questo dato emerge dal Sistema Informativo Minori del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ovviamente mette in risalto una crescita piuttosto significativa. Questi giovani avventurieri sono solo una frazione dei 16.497 minorenni soli che, al 30 giugno, figurano nel nostro “bel Paese”.
Per non lasciare nulla al caso e dimostrare che l’accoglienza ha un senso – almeno sulla carta –, è nato un progetto dallo strabiliante nome: Rafforzare i Servizi di Accoglienza e Protezione per Minori Non Accompagnati in Italia (o, per chi ama l’inglese burocratico, Enhancing Reception and Protection Services for Unaccompanied Children in Italy). Da scartare come idea innovativa: il progetto è promosso dal ministero dell’Interno italiano, dalla Segreteria di Stato della migrazione della Svizzera (Sem) e dall’UNHCR, l’agenzia dell’ONU che si occupa di rifugiati. Per chi si fosse perso il dettaglio diplomatico, questa iniziativa fa parte di un accordo bilaterale tra Svizzera e Italia sul tema migrazione, una sorta di grande scambio di “buone intenzioni” per potenziare la gestione dei complicati traffici umani.
Ieri, o giù di lì, l’ambasciatore svizzero in Italia, Roberto Balzaretti, ha deciso di farsi un giro al centro di accoglienza di Como. Ovviamente, non è andato da solo: al suo fianco la rappresentante UNHCR per Italia, Santa Sede e San Marino, Chiara Cardoletti, e il viceprefetto Roberto Leone dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno. Il centro di Como è solo uno tra le 34 meraviglie accoglienti censite nel progetto, avviato nell’ottobre 2024, in partnership gioiosa con l’UNHCR.
Da vero fiore all’occhiello della “navicella dell’accoglienza italiana”, il sistema si regge su una rete di centri di prima e seconda accoglienza, progettati per ascoltare i bisogni con mille colloqui e offrire orientamenti legali, oltre a lunghe passeggiate verso improbabili percorsi di integrazione. Nel mondo reale, però, mentre il governo si impegna a rafforzare questa macchina accogliente, il vero problema è che, considerando l’interesse superiore del minore (parola d’ordine con cui si tengono a bada i sentimenti), sarebbe urgente un intervento davvero personalizzato. Perché, diciamocelo, senza alcuna misura di limitazione della libertà personale, molti di questi ragazzi scappano dal centro subito dopo essere arrivati. Tradotto: vanno a spasso senza protezione, esposti ai peggiori rischi.
Intanto, i soliti perfetti truffatori e trafficanti, che da sempre campano su queste situazioni, ci si buttano a pesce, attirando i minori con promesse di chissà cosa, sfruttandoli fino all’osso in condizioni di abusi e sfruttamento. Nel primo semestre dell’anno, esatto, 2.572 minori hanno abbandonato ‘volontariamente’ i centri, svanendo nel nulla come se fossero maghi dell’invisibilità.
Il progetto dell’UNHCR, che riceve donazioni da quel magico secondo contributo svizzero agli Stati membri dell’Unione Europea e si sviluppa in piena armonia col Ministero dell’Interno italiano, nasce proprio per rispondere a questa emergenza istituzionale. Un allarme rosso per chi si ostina a vedere dietro i numeri solo famigerate statistiche e non volti umani indifesi.
L’illusione di un sistema che funziona
Insomma, diciamolo senza mezze misure: la cosiddetta rete di accoglienza italiana sembra un colabrodo. Si costruiscono strutture, si fanno visite dignitose da parte di diplomatici e funzionari che poi vanno a pranzo insieme, ma nel mentre i minori se ne vanno. Se la protezione risultasse soltanto dal numero di centri aperti o dai comunicati stampa ben scritti, allora sì che potremmo gridare “Missione compiuta!”.
E invece, la dura realtà è che spesso il sistema produce solo una cortina fumogena per nascondere l’incapacità di garantire un’accoglienza reale e sicura. Perché come dicevano i saggi, il vero problema non è che i minori arrivano, ma che qui vengono lasciati spesso a loro stessi e senza quelle aule di sostegno individuale che dovrebbero davvero fare la differenza.
Il nemico invisibile: il traffico e lo sfruttamento
Come ciliegina sulla torta, c’è quel colosso senza volto chiamato criminalità organizzata che con i suoi trafficanti è sempre pronto a raccogliere la “frutta matura” dei minori abbandonati. Non si tratta solo di una questione morale, ma di una falla gigantesca nel sistema. Chi dovrebbe proteggere, invece lascia campo libero ai peggiori responsabili di abusi e sfruttamenti.
Il progetto finanziato dalla Svizzera e gestito in coordinamento con il ministero dell’Interno rappresenta un’iniziativa lodevole, ma è come mettere una toppa su una barca colabrodo mentre l’acqua entra da mille fessure. Lo sforzo c’è, ma serve una rivoluzione culturale e operativa che smetta di raccontarci favole e agisca davvero.
In nome di un progetto che suona nobile quanto la filantropia di un banchiere in crisi, l’UNHCR si è lanciata in una campagna di sostegno per i minori più vulnerabili che approdano in Italia senza la scorta di una famiglia. Tutto molto generoso, finché non si pensa che queste sacre attività si limitano a “rafforzare il coordinamento istituzionale” e “migliorare la collaborazione tra livelli nazionale e locale”. Insomma, parole d’ordine da manuale, perfette per non risolvere nulla, ma ben suonanti in sede di dichiarazioni ufficiali.
Mentre si occupano di piazzare tappeti rossi a Lombardia, Puglia, Basilicata e Campania, regioni “strategiche” che fino a ieri sembravano perfette lande deserte per le agenzie specializzate internazionali, ci si consola con attività ricreative per “promuovere senso di normalità”. Perché, si sa, niente rilassa più di qualche gioco dopo un pericoloso viaggio e il trauma della solitudine.
Trattandosi poi di zonare con l’aiuto di Save the Children, il logo di turno per la buona coscienza, il benessere emotivo diventa la bandiera di un intervento che si limita a “raccogliere dati” e “rilevare bisogni”. Una bella tavola imbandita di parole, che però difficilmente si traduce in concretezza sul campo.
Il tutto condito da uno spauracchio assai caro: il “potenziale sfruttamento” di minori. Il progetto si impernia sulla mirabolante promessa di offrire spazi “accoglienti e sicuri” e supporto psicosociale al grido di chiunque osi dimenticare che tra le istituzioni che governano questa baracca non si è mai vista una presa in carico efficace e unitaria.
Il sublime contributo elvetico viene poi intriso di retorica sulla solidarietà europea, un “aiuto” alla vicina Italia che evidentemente – a furia di emergenze e progetti spot – non è ancora riuscita a costruire un sistema di accoglienza funzionale e sostenibile. Ma tranquilli, si tratta pur sempre di “un segnale tangibile”; almeno così ci tengono a ripetere i protagonisti di questo teatrino.
Il coordinamento puntuale… nella teoria
Ecco un esempio di come la parola “coordinamento” venga usata per mascherare l’inefficienza cronica: ci si impegna a migliorare la comunicazione tra “livelli nazionale e locale”, manco fosse una novità strabiliante o una magia risolutrice. Nel frattempo, chi dovrebbe stare nel limbo tra accoglienza e inclusione fa i conti con procedure lente, approssimative e risorse insufficienti.
Il caro vecchio modello italiano, fatto di emergenze continue e torme disorganizzate di operatori improvvisati, riceve così una spinta diplomatica ma non certo un upgrade sostanziale. Si mettono pezze, si scrivono protocolli, si lanciano scommesse alle stelle sulla qualità del servizio. Sforzi lodevoli o solo gran teatro? A voi il giudizio.
Un centro accoglienza, quattro parole, mille proclami
Prendiamo il centro di accoglienza di Como, scenario ideale dove si riversano tutte le belle intenzioni. Qui si assicurano supporto psicosociale, attività per “favorire il benessere emotivo” e – ovviamente – un monitoraggio costante per raccogliere dati e capire “aree di miglioramento”. Immaginate che comfort: sedie, giochi, operatori volenterosi con l’elmetto dell’“ascolto attivo”. Il tutto mentre si cerca di non far scappare i minori da situazioni di sfruttamento che – magicamente – non spariscono solo perché se ne parla.
La signora Chiara Cardoletti ci spiega l’importanza di un “accompagnamento basato sull’ascolto del vissuto e dei bisogni”, come se questa fosse una scoperta rivoluzionaria. Se anche le basi fossero solide, resta il fatto che spesso la prassi quotidiana è ben altra cosa, fatta di ritardi, risorse limitate e un sistema che naviga a vista.
Le parole del potere: solidarietà e interessi
Ambasciatore Balzaretti ha la parola:
“La fuga comporta spesso mancanza di prospettive, sofferenze e rischi, soprattutto per i più giovani e vulnerabili. Servono risposte tempestive e adeguate ai bisogni di questi bambini e ragazzi. La gestione della migrazione è un compito comune degli stati europei. Con il contributo la Svizzera dimostra solidarietà a un paese confinante e all’intera UE tenendo conto anche dei propri interessi.”
Impatto profondo e altruistico, ovviamente. Solidarietà a geometria variabile, che si sposa con l’interesse politico, economico e diplomatico. Insomma, la gentile Svizzera non fa niente a gratis, ma intanto ci piace sognare il principe azzurro che aiuta il nostro sistema d’accoglienza disastrato.
Sulla stessa lunghezza d’onda, il Prefetto Rabuano, che racconta di una “risposta strutturata che l’ordinamento italiano assicura nel superiore interesse del minore”. Se solo fosse così efficiente e strutturata, forse i minori non accompagnati non sarebbero lo specchio di un sistema ingolfato e pieno di falle.
Insomma, siamo di fronte all’ennesima prova di un sistema che gira a vuoto, alimentato dal buonismo di facciata e da una solidarietà tutta da verificare. Ma, per carità, si continua a pontificare, perché la retorica è facile, soprattutto quando si tratta di bambini vulnerabili. Che dire, applausi a scena aperta per l’impegno… a parole.



