Il centrodestra sta cercando di fare piazza pulita della legge che regola le elezioni locali, un assalto che sembra più un colpo di mano che un atto di riforma responsabile. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno deciso di mettere mano a una riforma che ben pochi possono considerare in crisi, quella del 1993, riducendo dal 50% al 40% la soglia per eleggere un sindaco al primo turno. Ma perché, ci si potrebbe chiedere, mentre un periodo turbolento come Tangentopoli ha generato una reazione normativa che ha fatto storia, oggi si avverte la necessità di tornare indietro?
Un passato che incombe
Per capire questa strana manovra, occorre risalire a più di trent’anni fa, quando la legge 81 ha introdotto l’elezione diretta dei sindaci, liberando questi ultimi dal “giogo” dei consigli comunali, i quali fino ad allora avevano il potere di eliminare o eleggere i primi cittadini. E ironia della sorte, uno dei punti forti di questa riforma fu proprio il ballottaggio. E ora sembra che il sistema di garanzie voluto per tutelare il voto popolare stia per passare in secondo piano, con i capigruppo della maggioranza che sembrano avere fretta di “semplificare” le operazioni elettorali.
Un election day che fa discutere
Il 25 e 26 maggio, il Ministero dell’Interno ha programmato un “election day” che unirà le elezioni amministrative ai referendum abrogativi. Come se non bastasse, è stato presentato un emendamento al disegno di legge Elezioni per ridimensionare il ballottaggio nei comuni con più di 15 mila abitanti. Già immaginare un’affluenza di votanti stanca e poco concentrata si presta a diverse interpretazioni sui risultati. Perché questa fretta? La legge vigente, che resiste da più di tre decenni, non è esattamente un mostro di inefficienza.
La reazione dell’opposizione
Le reazioni non si sono fatte attendere. Dario Parrini del Partito Democratico parla di un “precedente gravissimo”, paragonando questo tentativo a manovre autoritarie tipo quelle del leader ungherese Orbán. Bizzarro, se consideriamo la scarsa funzionalità di molte leggi votate da questa stessa classe politica; la legge elettorale del 1993 sembrava finora un esempio contro cui non ci si doveva accanire. Eppure, eccoci qui, a dover difendere qualcosa che funzionava, semplicemente perché agli attuali governanti non piace come è.
Promesse e riflessioni
Tutto questo ci porta a riflettere su un quadro più ampio: ci saranno davvero benefici da questa riduzione della soglia o si tratta solo di una manovra politica per garantire più seggi a chi governa? È tempo di “semplificare” ed “efficientare” oppure ci sarà solamente una disparità crescente nel rappresentare la volontà popolare? Sembra che abbiamo già visto questi copioni prima.
Possibili soluzioni e il margine di scetticismo
Le possibili soluzioni potrebbero includere una riaffermazione del ballottaggio come strumento di democrazia, con maggiore chiarezza sui processi e sull’importanza del voto di ciascun cittadino. Ma, viviamo in un’epoca in cui la realtà delle promesse elettorali si scontra con un’amministrazione che appare sempre più distante dalle sue stesse parole. E allora, prima di credere in una nuova legge, chiediamoci: ne vale davvero la pena o è solo l’ennesima manovra per il potere?
Il senatore, con un background su sistemi elettorali, non usa mezzi termini: «Ridurre al 40% la soglia per eleggere il sindaco al primo turno è un furto di democrazia, sia nel metodo che nel merito». Francesco Boccia, capogruppo del PD al Senato, rincara la dose, definendo questa misura come «inaccettabile» e una vera e propria provocazione nei confronti delle opposizioni e della tenuta del Parlamento.
Ma qual è la vera ragione dietro questo tentativo di «controriforma» da parte del centrodestra? La legge del 1993 non ha mai trovato favori presso Silvio Berlusconi e i suoi successori. Questo, perché storicamente, i candidati del centrodestra si sono spesso trovati a perdere al secondo turno contro quelli del centrosinistra. La situazione, sebbene con percentuali variabili, sembra continuare anche oggi, nonostante una maggioranza di governo apparentemente invincibile, confermata anche dai sondaggi. Nelle città, però, la realtà appare ben diversa. Resta da vedere se questo blitz legislativo avrà l’effetto sperato o se l’opposizione riuscirà a erigere barriere sufficienti. Il centrodestra invece giustifica la proposta: «È una misura per limitare l’astensionismo, dato che al secondo turno partecipa sempre meno elettori», un’argomentazione che, alla luce dei fatti, suona un po’ come un’ode al disinteresse.
Indizi di una democrazia compromessa
Il paradosso è evidente: si cerca di cambiare le regole del gioco per garantirsi una vittoria più facile, mascherandola come un sacrificio per il bene della partecipazione elettorale. Chissà se i cittadini si sentiranno più motivati a votare quando la loro voce sarà ridotta al rango di accessorio in una competizione già decisa. Se le promesse di una maggiore affluenza si rivelassero false, ci troveremmo di fronte a un’autentica contraddizione: si parla di democrazia, ma si mina la sua stessa essenza.
Tornando a questo dibattito, possiamo osservare analogie con altri Paesi. Prendiamo come esempio le elezioni municipali in Francia, dove un sistema di doppio turno ha realmente incoraggiato il dibattito e il confronto, piuttosto che tentativi di scorciatoie solo per ottenere un facile “scrutinio”.
Conclusione: cercare soluzioni o giochi di potere?
Di fronte a tali manovre, è fondamentale riflettere: quali sono le soluzioni realistiche per un sistema elettorale che rischia di trasformarsi in una farsa? Si potrebbe pensare a un incentivo per promuovere una vera partecipazione, piuttosto che un semplice ritocco alle soglie di voto. Chiaramente, come dimostrato da queste dinamiche, l’aspetto tipicamente “paternalistico” di tali riforme non fa altro che mettere in luce quanto la politica possa apparire disinteressata dai bisogni reali dei cittadini.
In conclusione, la domanda rimane: stiamo davvero assistendo a un cambiamento necessario o semplicemente a un altro stratagemma per preservare il potere? La risposta, come sempre, può trovarsi nell’inconsistenza delle promesse fatte — sempre generose, ma mai davvero realizzate.