Siamo stanchi della solita strage sul lavoro: è ora che qualcuno davvero risponda dei morti

Siamo stanchi della solita strage sul lavoro: è ora che qualcuno davvero risponda dei morti

Con la “ripresa” che sembra una moda ricorrente, torna a farsi protagonista uno spettacolo di prim’ordine: quello della serie infinita di morti bianche, ormai un appuntamento fisso al calendario delle tragedie lavorative. Proprio così, la cosiddetta ripresa economica porta con sé il suo carico di vittime, come se fosse un’offerta speciale che nessuno ha richiesto.

Monsignor Luigi Renna, che presidia la Commissione della Conferenza Episcopale Italiana dedicata alle questioni del lavoro, ci regala una riflessione che suona più da accusa che da semplice lamento. Dopo l’ennesima giornata nera, con quattro vittime sul lavoro in un solo giorno – un dato che farebbe rabbrividire chiunque abbia un minimo di umanità – la domanda sorge spontanea: ma davvero non riusciamo a imparare niente dal passato? È così difficile capire che prevenzione e formazione non sono optional, ma cose di vitale importanza?

La denuncia non si rivolge solo agli enti istituzionali, che purtroppo spesso preferiscono chiudere un occhio o entrambi quando si tratta di sicurezza sul lavoro, ma anche a ogni singolo lavoratore. Perché, ascoltate bene, si dovrebbe esigere il sacrosanto diritto a non rischiare di morire mentre si guadagna da vivere. Così, come se fosse un privilegio, fiché non si imparano a fare di meglio, la drammatica routine di incidenti mortali continuerà a essere elemento costante nella vita lavorativa italiana.

Una ripresa che uccide

Ci troviamo davanti a un’amara paradosso: più si lavora, più si muore. Sembra quasi che la ripresa economica sia costruita su una macabra selezione naturale, dove la sopravvivenza sul posto di lavoro è un premio, non un diritto. La formazione? I dispositivi di sicurezza? Le accortezze? Parole vuote su cui si continua a chiudere la bocca perché evidentemente sono considerate fastidi burocratici o ostacoli alla produttività.

Nel frattempo, famiglie spezzate, vite stroncate e una società che si abitua con disinvoltura a una tragedia che dovrebbe essere inconcepibile. Non resta che chiedersi quanto valga realmente la vita di un lavoratore in un paese che sembra più interessato a contare i profitti che a mettere un cartello ben visibile: la sicurezza prima di tutto, anche se nessuno sembra volerlo prendere sul serio.

Forse è arrivato il momento che ogni singolo uomo e donna si ribellino a questa impietosa indifferenza e chiedano con forza che i diritti fondamentali non vengano più trattati come semplici dettagli fastidiosi, ma come pilastri insostituibili di una società civile degna di questo nome.

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