Se scoppia la guerra non si salverà solo l’esercito ma tutta l’Italia, speriamo bene

Se scoppia la guerra non si salverà solo l’esercito ma tutta l’Italia, speriamo bene

Nel più recente episodio di State Sicuri, il video podcast che si spaccia per aggiornamento sulla “sicurezza che cambia”, Giorgio Rutelli ha ospitato il quasi onnipotente Generale di Corpo d’Armata Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano. Un confronto che avrebbe potuto rimanere nelle solite banalità ma, sorprendentemente, ha toccato un po’ di tutti i grandi temi caldi: scenari internazionali da incubo, rivoluzione tecnologica nell’esercito, la minaccia dei droni e l’onnipresente intelligenza artificiale, senza tralasciare il delicatissimo rapporto con l’industria della difesa.

Carmine Masiello ha lanciato un messaggio da applausi: “Vorrei che l’Esercito non fosse solo un ammasso di uomini con le stellette, ma una forza amata dagli italiani.” Davvero un’idea rivoluzionaria, trattare il sentimento patriottico come qualcosa di più di una semplice réclame propagandistica. Per chi sperava che la cultura della difesa fosse una questione esclusiva dei militari, ecco servita la responsabilità collettiva, perché si sa, farlo amare è più utile che arruolarlo, no?

Un mondo pazzo tra trincee, droni e cervelli manipolati

Il generale ha descritto un mondo che sembra uscito da un film di guerra con il budget infinito: “Siamo immersi in due conflitti vicini, quello in Ucraina e in Medio Oriente… ma se pensate che si fermino lì, vi sbagliate di grosso, perché di punti caldi ce ne sono a bizzeffe: dall’Indo-Pacifico all’Africa, dall’Artico fin su all’Europa orientale.”

Dopo trent’anni di calma piatta, seguiti al crollo del Muro di Berlino, oggi la situazione è più o meno questa: “Siamo di nuovo alle prese con guerre tradizionali, ma niente a che vedere con quelle che ci insegnavano sui banchi di scuola. In Ucraina convivono addirittura tre guerre contemporaneamente: quella nelle trincee che credevamo roba da musei di storia; quella super tecnologica, piena zeppa di droni; e la famigerata guerra cognitiva, ovvero la battaglia per la nostra testa, veicolata dalla disinformazione e che coinvolge direttamente le menti occidentali.”

E proprio questa guerra “cognitiva” è il vero spauracchio: “Non si vede ma entra ovunque, nelle nostre case, nei dibattiti e persino nelle nostre scelte politiche. Si può pure chiamarla la guerra per conquistare le menti di tutti noi.” Un horror psicologico in salsa geopolitica.

Difesa, patria e quel dettaglio non irrilevante chiamato cittadinanza

L’appello di Masiello è intenso e coinvolgente, o almeno vorrebbe esserlo: “Ad oggi, solo un italiano su cinque è disposto a imbracciare un fucile e difendere il proprio Paese. Un dato sconcertante con cui dobbiamo fare i conti.” Per fortuna il generale è andato a farsi un giro in Finlandia, quella terra di confine dove, tra una nevicata e l’altra, la gente non si limita a preoccuparsi, ma si prepara militarmente. Qui da noi, invece, non vediamo neppure l’ombra di un simile interesse. Merito, ovviamente, di questioni storiche, ideologiche e di una tanto celebrata quanto comoda “distanza dal fronte”.

Qualcosa però pare muoversi: “Quando parlo con i giovani, tra università e convegni, noto che il loro interesse verso questi temi sta crescendo.” Ottimo, un piccolo raggio di speranza in un mare di indifferenza strutturale.

È come se il generale volesse ricordarci che la difesa della patria non è affare esclusivo di ragazzi stanchi in mimetica: “La Costituzione dice che difendere la patria è un dovere sacro di ogni cittadino, non soltanto di chi indossa una divisa.”

Per non farsi mancare proprio nulla, cita un collega francese, che sembra aver riscoperto un dettaglio fondamentale: “Attenzione, se si va in guerra non è solo l’esercito francese che combatte, è tutta la Francia.” Immaginate che svolta: la guerra non è una questione di divisioni militari ma un affare nazionale in piena regola. Chissà quando anche da noi se ne accorgeranno.

Se mai dovesse accadere il famoso “caso estremo”, per l’Italia varrebbe la regola che tutto il Paese dovrebbe prendersi la responsabilità della sua difesa nazionale. Fantastico, no? Un po’ come quando tutti sperano che i pompieri arrivino in tempo a spegnere l’incendio, ma nel frattempo ognuno, con un semplice secchio d’acqua, vorrebbe darsi da fare. Il generale, qui, paragona proprio le Forze Armate ai vigili del fuoco: “Nessuno vuole che la propria casa bruci, ma se succede, vuole che i pompieri siano pronti. E se posso, do una mano”. Del resto, anche la difesa nazionale dovrebbe funzionare così, perché no?

Il nuovo corso dell’Esercito: dall’illusione del peacekeeping al ritorno all’operatività

Dopo decenni a essere semplici comparse nelle missioni di peacekeeping, ecco che il conflitto in Ucraina scuote finalmente l’Esercito italiano dal suo torpore hi-tech “zaino e scarponi” e lo costringe a tornare a parlare di carri armati, artiglieria e mezzi corazzati. Sembra quasi una rivoluzione epocale, ma in realtà è solo un tardivo risveglio: “Oggi questi mezzi, prima dati per superati, sono invece imprescindibili”, ci tiene a precisare il generale Masiello. Per non parlare dell’addestramento, che ora assume un tono di guerra vera, più simile a un film d’azione che alle solite missioni di routine in Libano o Afghanistan.

Ovviamente, il vero nemico non è il mezzo, ma la mentalità. Masiello lo dice senza mezzi termini: “L’Esercito deve diventare tecnologico o smette di esistere. L’epoca di essere solo zaini e scarponi è finita. Dobbiamo evolverci in fretta, perché il mondo non aspetta”. Insomma, un invito a mettersi l’elmetto digitale e a scrollarsi di dosso la polvere di un passato che odorava troppo di retroguardia.

Innovazione aziendale militare: meno burocrazia e più caffè con il capo

Per scuotere questa straordinaria macchina da guerra, il Capo di Stato Maggiore si è inventato qualche perla di gestione moderna (o presunta tale). Fra queste: un indirizzo email diretto – menoburocrazia@esercito.difesa.it – che consente a chiunque di proporre idee per semplificare meccanismi da raccontare ai posteri come horror burocratici; il tanto basato concetto di “Distanza zero”, che tradotto significa aprire un portale dove tutti possono sbrodolare le proprie idee sull’innovazione; e infine “Un caffè col capo”, dove i giovani soldati sotto i quarant’anni possono discutere da pari a pari con i generali senza dover inchinare troppo la testa.

La premessa è quasi filosofica: “Le idee più fresche arrivano dai giovani, e bisogna anche saper sbagliare. Senza errori, addio innovazione.” Fantastico, perché sappiamo tutti quanto il mondo militare sia noto per la sua apertura mentale e velocità di adattamento.

Intelligenza artificiale: il nuovo salvatore della patria

La vera star del palcoscenico tecnologico è, manco a dirlo, l’intelligenza artificiale, già introdotta “in tutte le scuole dell’Esercito”, perché formare è la parola d’ordine. L’AI, racconta il generale, non serve solo a snellire le procedure: salva vite umane, sostituendo il soldato che rischia sulla prima linea con un robot che disinnesca mine o costruisce bunker al posto suo. Compiti umani? No, merce ormai obsoleta.

Non è un caso che in Ucraina gli sciami di droni guidati dall’intelligenza artificiale stiano già facendo a brandelli le vecchie strategie: un modello di guerra che, inevitabilmente, dovremmo imparare anche noi. O meglio, dovremmo correre a fare i compiti che fino a ieri avevamo pazientemente ignorato.

Droni: la nuova lotta senza quartiere tra robot

Per il generale, la minaccia più reale arriva dai droni, quei piccoli mostriciattoli tecnologici sempre più sofisticati e… replicabili. La tecnologia, in questo caso, fa marcia indietro ogni tre-sei mesi: prima GPS, poi fibra ottica, ora SIM card e ora si programmerebbero pure da soli con l’AI, grazie a Dio.

La risposta? Droni contro droni, naturalmente. Secondo Masiello, la guerra si trasformerà in uno scontro fra robot assistiti da missili, mitragliatrici e guerra elettronica, con eserciti di operatori che imparano di corsa la nuova lingua di battaglia. Insomma, niente più duelli alla vecchia maniera, ma combattimenti da film di fantascienza in cui la tecnologia fa la parte da leone anche nel sottobosco delle cosiddette “guerre sotto soglia”. Provocazioni e incursioni? Praticamente il brunch della domenica.

Collaborazione a due vie con l’industria della difesa: finalmente ci capiamo

Da non sottovalutare, infine, il crescente amore tra le Forze Armate e l’industria bellica italiana: un rapporto sempre più stretto che, almeno a parole, promette di parlare finalmente “la stessa lingua”. Ovviamente, una sinergia fondamentale per trasformare sogni di tecnologia in realtà belliche. O almeno così dicono, mentre i bilanci continuano implacabili a salire.

Che piacere scoprire che finalmente l’industria della difesa ha recepito l’invito a produrre anziché limitarsi a sfornare prodotti inutili o sovradimensionati. Non più la fumosa barriera tra militari e aziende, ma un’amabile convivenza fatta di riunioni, pandorate e stretta collaborazione. Mica male! Il generale, sapientemente, ci rassicura spiegandoci che ora i requisiti sono fissati con cura e tutti parlano la stessa lingua. Sarebbe curioso sentirli mentre cercano di comunicare, visto che si vendono fucili nuovi e elicotteri d’attacco con la stessa compattezza di un corso di yoga aziendale.

Il generale ha poi deciso di soffermarsi sui successi più clamorosi di questa alleanza d’acciaio: il nuovissimo fucile dell’Esercito e l’elicottero d’attacco, pronto a spiccare il volo tra dodici mesi. Certo, una sinergia del genere fa gola a molti Paesi, che si chiedono come sia possibile che l’Italia abbia scelto un modello così “virtuoso”. Magari qualcuno penserà che stiamo parlando di un prodotto eccellente, ma intanto basterebbe capire se sarà utile o solo un altro pezzo da museo militare.

Una collaborazione al fronte… o quasi

Come ciliegina sulla torta, ecco la perla dell’innovazione in campo difesa: in Ucraina, le aziende sono addirittura “al fronte” insieme ai soldati. Sì, avete letto bene, armate fino ai denti e completamente immerse nel campo di battaglia, a stretto contatto con “le necessità reali”. Una scena da film d’azione che, fortunatamente, l’Italia spera di non replicare. Peccato che certe sinergie si costruiscano solo quando le bombe cadono troppo vicine. Ma non disperiamo, almeno questo rapporto stretto sembra la “strada giusta” per le sfide del futuro, perché nulla dice progresso come prodotti nati dalla paura e dalla guerra altrui.

In definitiva, abbiamo l’industria che si piega agli ordini militari con una devozione mai vista prima, e una Difesa che finalmente tira fuori richieste chiare, abbassando la superbia del passato per condividere progetti e ambizioni con le aziende. Sarà questa la chiave per trasformare spese faraoniche in strumenti davvero efficaci o resteremo impantanati in costosissimi giochi di guerra? Nel frattempo, magari qualche cittadino si chiederà se, con tanta collaborazione, il vero nemico non sia proprio l’inefficienza che cercano goffamente di mascherare. Ma questa è un’altra storia…

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