Immaginate una scuola dove i voti non esistono più, perché, si sa, non conta sbagliare ma solo fare piccoli passi avanti, ovviamente senza il fastidioso registro elettronico a ricordare ogni dettaglio. Ah, e niente cellulare, perché si deve pur punire il peccato di distrarsi. Questa è la grande utopia proposta dal pedagogista Daniele Novara, fondatore e direttore del Cpp, il Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, che ne parlerà in un convegno a novembre a Piacenza. “Sono un pedagogista”, esordisce Novara, “e la pedagogia è una scienza operativa, innovativa e tutt’altro che conservatrice: deve puntare a cambiare, non a fossilizzarsi nel passato.” Un vero scoop, visto che finora la scuola sembrava ferma su pilastri ancestrali.
“La scuola è bloccata in una modalità che definire inerziale è un complimento,” continua il nostro visionario, che s’ispira ai miti Montessori, Rodari, Lodi e Don Milani – personaggi che ogni buon pedagogista cita a memoria per sembrare più credibile. La sua proposta? Un insegnante che non solo conosce la materia, ma che sa orchestrare l’apprendimento in modo intelligente. Niente di meno che una scuola concepita come comunità di apprendimento, dove l’insegnante deve favorire il processo di apprendimento, facendo capire che sbagliare è non solo permesso ma necessario.
Daniele Novara dice:
“Dobbiamo togliere i voti perché non è l’errore che si valuta, ma i progressi. Valutare gli errori? Una follia! Imparare significa sbagliare, e appunto se punisci l’errore impedisci l’apprendimento. La paura di fallire blocca la crescita. Se la valutazione diventa punizione, la scuola si trasforma in un luogo di espiazione, e quindi sono assolutamente contrario alle bocciature che non servono a niente.”
Un’accusa tanto sacrosanta quanto facilmente aggirabile nella pratica quotidiana, ma passiamo oltre, perché Novara ha anche la soluzione agli episodi di aggressione in classe: rigore, si, ma un rigore da manuale, quello organizzativo, e una “co-conduzione” in classe, magari con due insegnanti a dividere la responsabilità, così da non lasciare mai alcun povero docente da solo a combattere contro orde di studenti sovraeccitati.
Il registro elettronico? Una piaga sociale, un mezzo perverso che non punge gli studenti ma martella i genitori, trasformando ogni assenza in un’accusa e ogni dimenticanza in una condanna. Novara lo definisce perfino “un elemento di malessere” che genera “accanimento familiare” senza portare alcun risultato positivo. La sua aspirazione è un “patto educativo” tra scuola e famiglie, lontano dalle doppie spie e dai controlli maniacali, naturalmente senza però rinunciare al fascino oscuro del controllo stesso.
E il cellulare? Provate ad immaginare: non solo li si vieta in classe, ma bisognerebbe estendere questa repressione ben oltre le mura scolastiche. Novara vorrebbe addirittura un blocco dei social network fino a 16 anni, copiando un modello australiano che, stranamente, qualcuno trova efficace. Per lui, togliere i cellulari è sempre stata una priorità: un modo per garantire silenzio e attenzione, a costo di vivere nell’era digitale come se fossimo ancora negli anni ’50.
Daniele Novara conclude il suo manifesto educativo con un tocco poetico:
“Il mio metodo stimola gli studenti a imparare insieme, partendo da domande e problemi, non da risposte prefabbricate. Vorrei che il ministro ascoltasse davvero la pedagogia, quella vera, benevola, non una scuola pensata come luogo di punizione e espiazione.”
Insomma, secondo Novara, la scuola tradizionale, quella fatta di voti, giudizi, registro elettronico e cellulari, è una fabbrica del dolore emotivo, un luogo dove gli errori diventano prigioni e dove ogni progresso si perde in un mare di timori e controlli maniacali. Peccato che la realtà non sia mai così semplice, e che cancellare le bocciature e i voti non trasformi magicamente gli studenti in geni motivati e disciplinati. Ma sognare non costa nulla, anzi, a quanto pare è persino un mestiere di successo.