Scintille tra Usa e Cina scatenano la corsa folle alle terre rare come se il mondo dipendesse da quelle rocce

Scintille tra Usa e Cina scatenano la corsa folle alle terre rare come se il mondo dipendesse da quelle rocce

Guardate un po’: un colosso dei cargo sta facendo il suo maestoso ingresso nel Porto di Oakland, California, il 10 ottobre 2025. Sembra quasi una scena da film epico, se non fosse che dietro questa semplice immagine si cela un teatro di assurdità geopolitiche degno di un feuilleton novecentesco.

Il chiarissimo Donald Trump, sì proprio lui, il guru dei hashtag provocatori e delle sparate a effetto, minaccia di scatenare una tempesta di aumenti tariffari sui prodotti importati dalla Cina. Perché? Perché la stessa Cina ha deciso di fare la parte del cattivo imponendo nuovi controlli sulle esportazioni di terre rare. Quelle rocce magiche, che controllano circa il 70% del mercato globale e che, a quanto pare, valgono più del petrolio nei giorni di rialzo del Brent.

Siamo in una partita di scacchi globale, ma con le teste di legno e le mosse improvvisate di un gioco da tavolo per principianti disperati. La Cina tira la leva della leva delle risorse strategiche, perché ovviamente detenere il monopolio è pur sempre un’arte, e Trump risponde minacciando la guerra commerciale, trascurando di spiegare come diavolo l’America pensi di vivere senza questi “tesori” fondamentali per le industrie più avanzate del pianeta.

Le minacce che sembrano filastrocche

Il ragionamento dietro le minacce di infliggere dazi iperbolici è esilarante: se qualcuno ti tiene in ostaggio (nel caso la Cina con le terre rare), la soluzione ovvia è insultarlo e aggravare la situazione, giusto? Chi ha inventato la diplomazia, evidentemente, non ha mai seguito le dirette Twitter del presidente.

Se diamo un’occhiata alla strategia, emerge che l’amministrazione americana ignora bellamente un dettaglio: senza le terre rare, dall’elettronica alle auto elettriche, dalle armi intelligenti alle turbine eoliche, ogni progresso si inchioda. Ma non preoccupatevi, la risposta è semplicemente “aumentiamo i dazi” e vediamo cosa succede. Ironia del destino, questa strategia rischia solo di farci scoprire che l’alternativa è… aspettare e sperare che la Cina faccia un favore.

Monopoli e cinismo geo-economico

La realtà è semplice: la Cina ha in mano una carta preziosissima proprio perché ha saputo costruire un monopolio sui materiali fondamentali per la tecnologia moderna. Se è un colpo basso? Sicuramente. Se è un colpo geniale? Innegabilmente sì.

Ovviamente, chi punta il dito dimentica sempre il ruolo del libero mercato e della concorrenza, o forse piace troppo applaudire le guerre commerciali come fossero soap opera da prima serata. Il fatto che le democrazie occidentali abbiano delegato le risorse strategiche a una potenza straniera, per poi lamentarsi, è semplicemente il massimo del teatro dell’assurdo.

Chi si stupisce oggi del ricatto cinese non ha colto il senso di un mondo sempre più interdipendente, dove la mancanza di una politica industriale coerente significa esporsi alle danze del carnevale globalizzato, con tutte le contraddizioni e i paradossi del caso.

Il commento politico: un siparietto ipocrita

Donald Trump ha dichiarato:

“È davvero paradossale vedere che i principali alleati degli Stati Uniti siano i primi a essere tassati pesantemente.”

Un’affermazione che stride con la stessa strategia adottata, che oltre a colpire la Cina rischia di causare una reazione a catena di ritorsioni e complicazioni economiche. Forse il paradosso sarebbe stato evitarlo, ma evidentemente l’arte della diplomazia non è di casa a Washington quando c’è da alzare la voce.

Intanto il mondo guarda e attende, forse sperando in una soluzione più intelligente di quella di prendere a colpi di tariffe quello che è un danno soprattutto a se stessi. Ma si sa, la coerenza è sopravvalutata quando si ha in mano un telefono con Twitter installato.

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