Ovviamente, in un mondo dove il buonismo si scontra con la realtà economica, questa norma si è trasformata in un autentico disastro per i poveri rider. Proprio loro, i tanto celebrati “eroi della pandemia” che, invece di essere premiati, si sono ritrovati senza un euro in tasca durante le ore proibite.
Lo scopo dichiarato era nobile: evitare colpi di calore e problemi di salute seri. Peccato che, al di là delle buone intenzioni, il risultato abbia avuto l’effetto di svuotare il portafoglio di chi fa già fatica a mettere insieme pranzo e cena. Un lodevole sacrificio, quindi, per la tutela della salute… a discapito della sopravvivenza economica.
Una lotta fra caldo e contraddizioni
È incredibile come chi stila queste misure finisca per ignorare la lotta quotidiana di chi vive alla giornata consegnando a domicilio. Invece di sostegni concreti — come una paga minima dignitosa o strumenti per ripararsi dall’arsura estiva — si preferisce imporgli un blocco orario che, semplicemente, li taglia fuori dal mercato senza alternative.
Immaginate la scena: un rider, già costretto a fare i salti mortali per 10 euro netti l’ora, si vede dire “fermo! Non puoi lavorare dalle 12 alle 17 perché fa troppo caldo”. L’effetto? Guadagni dimezzati, meno percorsi consegnati e di conseguenza meno mance, meno possibilità di arrivare a fine mese.
La solita trovata “progressista”, dove proteggere la salute diventa sinonimo di togliere ogni fonte di reddito e speranza, e di fatto aumentare le disuguaglianze invece di ridurle. Ma chi se ne importa se si arriva stremati o affamati, l’importante è stare all’ombra… senza soldi.
Il paradosso di un decreto “salva-fattorini”
Il merito va riconosciuto: il decreto esiste e qualcuno ha pensato che fosse una soluzione. Peccato che il paradosso sia evidente anche ai ciechi. L’idea di “proteggere i lavoratori” si infrange rapidamente contro l’assenza di un sistema che possa sostenerli durante l’interruzione forzata.
Non c’è un fondo di sostegno, né una strategia di copertura economica per quei pochi soldi che non si guadagnano bloccando le consegne. Così i fattorini, per lo più giovani senza la sicurezza di un contratto regolare, stanno pagando un conto altissimo per una protezione che, francamente, assomiglia più a un castigo.
Ecco il bello della burocrazia italiana: un provvedimento che sembra amorevole ma che si traduce in un colpo alla libertà economica e alla dignità di chi lavora duro sotto il sole.
Lo sguardo oltre le apparenze
Se si davvero volesse difendere questi lavoratori bisognerebbe iniziare a ragionare su strutture di sostegno che non si limitino a vietare o proibire. Magari, ma sarebbe troppo semplice, fornire accesso a spazi freschi, garantire pause retribuite o mettere a disposizione mezzi per evitare di finire lessi sul motorino.
Invece assistiamo al trionfo del divieto ipocrita e della disattenzione sociale, mentre i campioni del progresso urbano applaudono la misura come una vittoria della civiltà.
Un’altra pedalata verso un futuro dove la “cura” per il lavoratore si traduce in un menu di divieti e un’insalata di problemi senza soluzioni concrete.