Rincorsa globale alle terre rare: investitori scatenati in una corsa ai minerali che non sapevamo ci servissero così tanto

Rincorsa globale alle terre rare: investitori scatenati in una corsa ai minerali che non sapevamo ci servissero così tanto

Una pala meccanica carica minerale verso un trituratore nella miniera di terre rare MP Materials a Mountain Pass, California, USA, 30 gennaio 2020. Che meraviglia: l’emergere delle materie prime critiche come nuovo terreno di lotta geopolitica ha coinciso con una vertiginosa impennata dei titoli minerari di terre rare quotati negli Stati Uniti.

Nonostante una lieve correzione nelle ultime settimane, le azioni di Critical Metals hanno visto un aumento clamoroso del 241% negli ultimi tre mesi, mentre NioCorp Developments, Energy Fuels e Idaho Strategic Resources hanno tutte superato rialzi ben superiori al 100% nello stesso periodo. Una performance da capogiro, se consideriamo anche che il guadagno da inizio anno è ancor più impressionante: il titolo di Energy Fuels è quadruplicato nei primi dieci mesi, e NioCorp Developments quasi quintuplicato.

Le terre rare sono saltate agli onori della cronaca come carta da giocare fondamentale nella rivalità geopolitica tra gli Stati Uniti e Cina, i due colossi dell’economia globale. Per capirci, sono quegli elementi chimici fondamentali per tutti i gingilli tecnologici di oggi, dalle smartphone alle auto elettriche fino all’attrezzatura militare di ultima generazione.

Tony Sage, CEO di Critical Metals, che vanta uno dei più grandi giacimenti di terre rare nel sud della Groenlandia, non ha perso occasione per descrivere l’impennata dei titoli minerari americani come la prova lampante di un boom di mercato da manuale.

Tony Sage ha detto:

“Se guardi bene, ci sono stati quattro grandi boom nella storia: quello dell’oro nel 19° secolo, quello del petrolio nel 20°, il boom tecnologico agli inizi del 21°, e ora… il boom delle terre rare.”

Sage ha proseguito con la sua illuminante profezia:

“Ma il boom delle terre rare è il futuro. Alimenterà tutto ciò che c’è di sopra. Stiamo passando dalla filosofia ‘importa e spera’ a ‘estrai e domina’ a livello nazionale o regionale.”

Interessante modo di vedere il mondo di chi crede che la dipendenza dalle importazioni possa essere facilmente sostituita da una corsa forsennata alle miniere locali. Parola dell’autorevole Audun Martinsen, capo della ricerca sulle catene di approvvigionamento presso Rystad Energy, che ci conferma che la storia è tutta una questione di dominio e controllo.

Per dare a chi legge un po’ di scienza, le terre rare sono 17 elementi nella tavola periodica che hanno proprietà magnetiche molto particolari. Che tradotto significa: indispensabili per qualsiasi cianfrusaglia tecnologica moderna, dai giocattoli elettronici di massa fino agli armamenti high-tech.

La Cina, con il suo quasi monopolio globale su queste materie, ha recentemente minacciato di estendere i controlli alle esportazioni, giocando la solita mano forte per schiacciare la concorrenza e mantenere il suo dominio sulla catena di approvvigionamento. Ma sorpresa delle sorprese, dopo un incontro faccia a faccia in Corea del Sud tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping, Pechino ha deciso di rimandare di un anno quei controlli previsti per il 9 ottobre.

Cosa credete che sia successo? Ovviamente, le azioni minerarie americane di terre rare sono balzate festose sulla notizia, seppure gli esperti restino un po’ scettici sulla reale durata di questa tregua commerciale.

Donald Trump stringe la mano a Xi Jinping durante un incontro bilaterale all’aeroporto internazionale di Gimhae, a margine del vertice APEC in Busan, Corea del Sud, 30 ottobre 2025. Immagine simbolo di un’alleanza tanto fragile quanto spettacolare.

Tony Sage, con la sua saggezza, ha aggiunto:

“Come in tutti i boom, ci sono state molte compagnie petrolifere che non hanno trovato una goccia di petrolio, e molte d’oro che non hanno trovato nemmeno un grammo. E sono sicuro che ci saranno molte aziende di terre rare che non ce la faranno – perché quando c’è un boom, c’è sempre un’esagerazione, e quando c’è esagerazione, gli investimenti si fanno con troppa foga.”

“Non si tratta di una crescita lineare, ma di una linea irregolare. Tuttavia, la tendenza è positiva se hai il progetto giusto, nel posto giusto, con i partner giusti.”

Un superciclo molto più grande e duraturo

Kevin Das, consulente tecnico senior presso New Frontier Minerals, un’esploratrice australiana di terre rare, condivide la visione di Sage sul boom, ma aggiunge un pizzico di realismo riguardo possibili oscillazioni dei prezzi azionari.

Kevin Das ha spiegato:

“La gente dice che siamo in un trend rialzista, a causa di un superciclo più grande e persistente. Ci sono prove di questo: i prezzi delle commodities sono stati bassi per molto tempo e gli investimenti sono stati scarsi. Ora, con l’avvento dell’intelligenza artificiale… vedremo un superciclo più ampio e prolungato.”

Das ha poi tracciato un parallelo con l’amministrazione Biden, il cui sostegno ai progetti di energia pulita ha coinciso con un rally delle azioni legate al litio, e la gestione Trump, che a suo tempo aveva dato un’accelerata simile al settore delle terre rare. Ovviamente, tutto ciò mentre le potenze mondiali giocano al gatto col topo su chi controlla le risorse che alimenteranno il futuro. E noi spettatori, ci limitiamo ad applaudire o a piangere, a seconda dell’umore e del portafoglio.

Negli ultimi nove-dieci mesi di governo Trump, si è dedicato con la consueta sobrietà a discutere di conquiste geografiche tipiche di un regime da prima pagina: dall’annessione della Groenlandia a improbabili accordi con l’Ucraina per imporci il monopolio delle terre rare. Il capolavoro resta però il tanto riverito investimento azionario in MP Materials, che a quanto pare promette un futuro radioso come pochi altri.

Dunque, secondo l’ineffabile Das, ci aspetterebbe un “pista di decollo” (sì, ha usato proprio questa metafora) ricca di frutti abbondanti nei prossimi due o tre anni, e chi siamo noi per dubitarne?

Ovviamente, non tutti condividono questo entusiasmo da novizi del mercato dei metalli rari.

Audun Martinsen, capo della ricerca sulle catene di approvvigionamento presso Rystad Energy, sembra voler spegnere l’euforia con un bagno di realtà: il recente slancio dei prezzi azionari sarebbe più un cocktail di tensioni geopolitiche, politiche strategiche e un pizzico di pura speculazione. Insomma, niente di così maturo come alcuni vorrebbero farci credere.

Lui spiega con tono da saggio che le terre rare si trovano al centro della strategia industriale globale — imprescindibili per la difesa, le auto elettriche e la transizione energetica — ma siamo pur sempre alla prima fase di un cambiamento strutturale, non a un boom già consolidato.

Interessante il concetto che ci passa Martinsen: stiamo passando da una filosofia “riempi il vuoto” con importazioni indefinibili a un’idea più ambiziosa di “colmare il vuoto” domestico o regionale, immaginate la sicurezza nazionale che ne deriva!

Ovviamente, tutto questo è un percorso lungo, costoso e pieno di ostacoli, visto che risorse adeguate, conveniente economicamente e con la giusta diversità di elementi da controllare sono roba da fantascienza industriale.

La transizione verde: tra sogni, realtà e la politica che ci mette becco

Gernot Wagner, economista del clima alla Columbia University, sintetizza il tutto in due forze in gioco mentre la gara globale per i minerali critici si fa frenetica: una strutturale e l’altra politica, che in un suo sussurrato monologo sembrano ballare un valzer poco armonioso.

La forza strutturale è ovvia, dice lui: nonostante le scaramucce politiche e i teatrini da cortile per bloccare o rallentare tutto, la transizione verso l’energia pulita procede a passo di marcia, anzi accelera. E, sorpresa delle sorprese, questa Gold Rush moderna dipende da pile di minerali critici i cui prezzi sono destinati a schizzare in alto come bolle d’aria in un bicchiere di spumante dimenticato.

Quanto alla Cina, che è il fornitore low-cost praticamente incontrastato di molti di questi minerali, Wagner chiarisce come il predominio asiatico non sia certo frutto di un caso o di simpatiche pratiche di cortesia internazionale.

Il colosso di Pechino ha investito pesantemente in politiche industriali verdi per anni, controllando tutta la filiera integrata fino all’ultimo grammo di materia prima. E qui entra in gioco la politica, quella di casa nostra, quella internazionale, un guazzabuglio di scelte giustificate e altrettante opportunismo più o meno ragionato.

Certi tentativi di riportare a casa le catene di approvvigionamento sembrano giustificati da motivi di sicurezza nazionale, e chissà, forse anche da qualche spirito patriottico che elude i bilanci in rosso. Ma è chiaro che tutto questo gonfi il costo dei minerali e le azioni delle compagnie minerarie statunitensi.

Come se non bastasse, in mezzo a queste dinamiche ci si aggiungono anche i capricci delle guerre commerciali, i colpi di scena politici, e un pizzico di caos estemporaneo. Ma che barba, che noia: i mercati amano i drammi, no?