Con un voto al Senato che ha visto la riforma fiscale di Donald Trump approdare per un pelo (51 favorevoli contro 50 contrari, grazie al voto decisivo di JD Vance, con un colpo di teatro istituzionale che ha fatto storcere il naso), ora il testo modificato si dirige alla Camera per la battaglia finale. L’ambizioso obiettivo della Casa Bianca è riportare la vittoria entro il 4 luglio, la celebre festa dell’indipendenza americana, per celebrare il tutto con qualche fuoco d’artificio anche politico. Lo speaker della Camera, Mike Johnson, garantisce che si lavorerà a ritmo serrato, ma il capo del Freedom Caucus, Andy Harris, getta acqua sul fuoco: “Potremmo servire ancora una settimana per sistemare i dettagli prima del voto.” Tradotto politichese: la cosa è più complicata di quanto sembri.
Trump non perde tempo e rilancia la carica verso i repubblicani: urge approvare la cosiddetta “big beautiful bill”. Oggi è previsto un incontro con i deputati per cementare la coalizione e cercare di spazzare via il dubbio diffuso tra i conservatori più duri. Per ora però, il sì finale sembra un terreno minato, visto che le incognite tra i banchi della maggioranza non sono certo poche.
I deputati si stanno riversando a Washington after una settimana di pausa estiva, per lanciarci nel voto decisivo. Con i democratici in massa schierati contro, i repubblicani possono perdere al massimo tre voti, e anche in questo esercizio di equilibrio politico il partito di Trump appare tentennante. Privilegi ed esclusioni spuntano come funghi: un test duro, in cui si misura davvero la presa del tycoon sul suo esercito parlamentare.
La proposta in discussione prevede vantaggi fiscali da capogiro, con regali enormi alle fasce più ricche e ai colossi industriali. Il mancato gettito, in parte tamponato da tagli al welfare, spalanca però le porte a un pericoloso e imponente aumento del deficit pubblico e in prospettiva del debito nazionale. Sarà per questo che una fazione di repubblicani più tradizionalisti storce il naso, ricordando con nostalgia quando il partito amava contare i penny nelle casse dello Stato. Anche Elon Musk, ex amico di Trump e ora critico, mette nel mirino il progetto, non tanto per le agevolazioni fiscali (evidentemente ben gradite), quanto per l’incapacità di intervenire davvero sui costi della spesa pubblica.
Gli sgravi ammontano a circa 4mila miliardi di dollari, mentre i tagli al welfare toccano la modica cifra di mille miliardi. Un vero e proprio schiaffo alla coerenza economica, che rischia di trasformare la cosiddetta “riforma” in un gigantesco buco nero per i conti pubblici americani. Sacrifici sociali in cambio di privilegi per pochi, e il debito che cresce così tanto da fare invidia a un kite gigante. Ironia della sorte, proprio quelli che dovrebbero difendere i sacri e inviolabili equilibri di bilancio sono sul piede di guerra, mentre chi manda avanti il carrozzone è più interessato ai sorrisi elettorali che alla sostenibilità finanziaria.
Ah, la meravigliosa politica fiscale statunitense: in pratica, prende dai poveri per ingrassare i già ben pasciuti ricchi. Nulla di nuovo sotto il sole, dite? Beh, aggiungiamo che ben dodici milioni di americani rischiano di dire addio all’assistenza sanitaria di Medicaid, mentre i famigerati buoni pasto vengono falciati di un bel 20%. E che dire dei sussidi per le energie rinnovabili? Azzerati, come un colpo di spugna su qualsiasi tentativo di progresso ecologico.
Vi sembra uno scenario da film distopico? No, è solo la realtà di un sistema che ama far brillare la ricchezza di pochi, lasciando a secco la maggioranza. Le politiche “equilibrate” di tagli e “risparmi” si traducono puntualmente in un’enorme morsa per chi già fatica ad arrivare a fine mese. Tanto valeva chiamarla: “La grande svendita dei diritti sociali”.
Nel frattempo, mentre i poveri perdono assistenza e i cittadini l’accesso a servizi essenziali, chi detiene il potere economico può continuare a sorridere – e magari ad investire ancora meno in produzioni sostenibili e in quello che chiamano “futuro”. Perché, si sa, la priorità è proteggere i super-ricchi, non certo salvaguardare la comunità o il pianeta.
Intanto, si celebra in pompa magna il mito dell’efficienza economica, quella stessa efficienza che sacrifica la salute e il benessere di milioni di persone sull’altare del profitto a breve termine. Tanto vale abituarsi: in certi luoghi del mondo, assistenza e sussidi sono optional, soprattutto quando si tratta di chi non ha voce né potere.



