Che sorpresa: l’economia del Regno Unito, proprio come molte delle sue stanche cugine europee, si ritrova incastrata tra tradizionali gioie economiche quali un rapporto debito/PIL da far impallidire, déficit che sfonda i limiti nonché una popolazione che invecchia e pretende sempre di più dallo Stato, il tutto mentre la crescita sembra aver preso ferie permanenti.
Eppure, non tutto è perduto nel magico regno delle contraddizioni. Tralasciando drammi e lamenti, giovedì scorso una festa – pardon, un summit – ha messo in luce che qualche regione resiste ancora alle sirene della stagnazione, anzi, si propone come calamita per investimenti importanti, quelli veri, quelli che potrebbero permettere a Gran Bretagna di guadagnarsi da vivere nel mondo per qualche decennio ancora.
Oltre 500 tra CEO, fondatori, investitori e brillanti menti della politica si sono dati appuntamento a Innovate Cambridge, un’organizzazione che si atteggia a promotrice della città e dell’area circostante come hub globale di punta per le scienze della vita e la tecnologia. Insomma, quelli che cercano di venderti la pillola di un futuro radioso fatto di biotecnologie e innovazioni digitali.
Tra le star presenti, non potevano mancare figure da copertina come Patrick Vallance, il ministro per scienza, ricerca e innovazione, veterano del settore e una specie di jedis delle Scienze della Vita nel Regno Unito che ha guidato la ricerca e sviluppo della galassia GlaxoSmithKline. Oltre a lui, la crème de la crème come Zoubin Ghahramani, vicepresidente di ricerca di Google DeepMind, e Nigel Wilson, ex CEO della formidabile compagnia di assicurazioni Legal & General, ora presidente di una società di venture capital e del Canary Wharf Group, manifestazione davvero plastica del potere corporativo britannico.
Nel corso dell’evento, si è avuto modo di scoprire che nell’ultimo decennio la regione di Cambridge ha bruciato la concorrenza con la crescita economica più rapida del Regno Unito, diventando, sorpresa sorpresa, il centro più appetibile per investimenti scientifici fuori da Londra.
E la ciliegina sulla torta? Il flusso di denaro estero verso anche le più esclusive startup nel settore delle scienze della vita e nelle tecnologie più “profondamente innovative” è quasi quintuplicato in dieci anni, arrivando a ben 7,9 miliardi di sterline, il 40% dei quali arrivati da investitori internazionali. Tra questi, gli americani spiccano per interesse, partecipando a quasi una vendita su cinque in tutto il panorama di investimento di Cambridge.
Appena cinque mesi fa, Dealroom (perché anche la scienza ha bisogno del suo ufficio statistico, ovviamente) ha certificato che Cambridge è seconda al mondo quanto a unicorni – quelle startup valutate oltre un miliardo di dollari – solo dietro alla scintillante Baia di San Francisco. E non stiamo parlando dei soliti nomi: qui la lista include pionieri dell’automazione stradale come Wayve e dell’informatica quantistica come Quantinuum, oltre a tanti altri che brillano nel buio della concorrenza.
Fino a qui tutto molto bello, champagne e applausi. Poi però arriva la stoccatina sotto il mento: apparentemente, questa espansione galoppante di Cambridge resta un birillo isolato nel gigantesco gioco del malcostume infrastrutturale britannico, dove la crescita reale resta inchiodata dalla mancanza di investimenti congrui in infrastrutture sia private che pubbliche. Sorprendente, vero?
Lo conferma anche un rapporto del consiglio comunale che, con la sua gentilezza abituale, osserva come la domanda di case sia ancora altissima mentre l’offerta di nuove abitazioni latita miseramente. E non una qualsiasi, ma abitazioni “abbordabili”: per capirci, quelle che servirebbero ai lavoratori chiave, come infermieri, insegnanti e vigili del fuoco, le figure insostituibili per mantenere la città in piedi.
A sottolineare l’assurdità della situazione ci pensa anche la voce informata degli studenti di dottorato, un tempo commettenti “top client” delle startup locali: molti di loro semplicemente non vivono più nella città, costretti altrove da prezzi proibitivi e mancanza di alloggi adeguati.
Quando la crescita si scontra con la realtà
Invece di godersi l’isolato status di regno delle startup, Cambridge si trova ad affrontare la beffa suprema: un boom economico che lascia dietro di sé quartieri spopolati, mancanza di case per chi costruisce veramente questo futuro, e infrastrutture paragonabili a un cantiere mai finito.
Un miracolo tutto britannico: si mandano soldi a pioggia in ricerca e sviluppo, si attraggono gli investitori più ricchi e quel che si ottiene in cambio – come per magia – è una città dove i ricercatori dormono in trasferta, costretti lontani dai luoghi in cui lavorano, e dove le strade e i servizi pubblici arrancano miseramente. Peccato vera, no?
Dunque, mentre la stampa e i politici si trastullano con le statistiche e gli annunci roboanti, la cruda realtà racconta di un sistema ingarbugliato e profondamente ipocrita: si parla di investimenti record e di tecnologie del futuro, ma senza l’onesto sostegno infrastrutturale per sostenere questa crescita, non è altro che un castello di carte destinato a cadere, e presto.
Insomma, Cambridge rimane un faro luminoso nel grigiore britannico, un esempio vibrante di successo che però rischia di essere soffocato dal torpore tipico dell’amministrazione pubblica e dei fantasmi dell’edilizia; il vero enigma è se reggerà il passo o se il futuro sarà poco più che un miraggio per questa città che vuole essere la Silicon Valley inglese.
Con stipendi accademici così modestamente “allettanti”, persino i professori più illustri di Cambridge faticherebbero a salire sul tanto ambito mercato immobiliare cittadino. Che prospettiva deliziosa per un giovane neolaureato: talento e intelligenza non bastano, serve un portafoglio da nababbo.
La scarsità di case, sia in vendita che in affitto, si presenta come un ostacolo formidabile alla crescita futura. Ma non è tutto: contribuisce alla penuria abitativa anche la scarsità d’acqua e delle infrastrutture necessarie a supportarne il fabbisogno. Per chi non lo sapesse, l’est dell’Inghilterra è più arido del resto del Regno Unito, tanto che Anglian Water, che fornisce la regione al di fuori della città, paragona le precipitazioni ad alcune zone di Israele — già, proprio lì, il deserto.
Preoccupazioni sulla scarsità idrica e la sostenibilità dell’approvvigionamento sono state così rilevanti da indurre l’Environment Agency — quell’entità governativa preposta alla protezione e miglioramento ambientale — a bloccare, tra dicembre 2022 e novembre 2023, la costruzione di oltre 9.000 abitazioni e 300.000 piedi quadrati di spazi per laboratori nell’area della Greater Cambridge.
Ma perché fermarsi qui? La ciliegina sulla torta è il congestionamento cronico del traffico: il dipartimento di economia territoriale dell’università ha infatti segnalato a giugno che i tempi medi di percorrenza in città sono aumentati del 12% tra il 2022 e il 2024.
Tutto questo comincia a farsi sentire sul fronte della crescita economica, con la regione di Cambridge che negli ultimi due anni è passata dal quarto al sesto posto nell’Indice Globale dell’Innovazione, scavalcata da giganti come Corea del Sud e Singapore. Un piccolo passo indietro, certo, ma niente panico.
Paul Williamson, vicepresidente senior e direttore generale dell’Internet delle Cose di Arm Holdings, ha candidamente ammesso durante un summit che il Regno Unito non sta tenendo il ritmo della crescita dell’azienda, una delle punte di diamante di Cambridge. Ha spiegato come, pur avendo accolto in città 325 nuovi laureati solo quella settimana, l’impresa si vedrebbe costretta ad adottare una “prospettiva globale” spostando l’assunzione di talenti anche altrove nel mondo.
Per cercare di tamponare questo disastro in arrivo, il governo ha deciso di puntare sull’intero “corridor” Oxford-Cambridge. La ministra delle Finanze, Rachel Reeves, ha annunciato la scorsa settimana un pacchetto di investimenti da 500 milioni di sterline destinato a nuove abitazioni e collegamenti di trasporto, incluso il progetto di riapertura della celebre “Varsity Line” — la linea ferroviaria che un tempo collegava Oxford e Cambridge, chiusa nel 1967. Un ritorno al passato che, si spera, porti un futuro migliore.
Patrick Vallance, ormai volto noto di ogni trasmissione televisiva notturna durante la pandemia e capo consulente scientifico del governo, ha dichiarato al summit che, se il governo raggiungerà i suoi obiettivi, quelle aziende che “dieci anni fa magari sarebbero fuggite negli Stati Uniti” resteranno nel Regno Unito.
Ha aggiunto:
“Questa regione ha tutti gli ingredienti per diventare la risposta del Regno Unito alla Silicon Valley o al Boston Cluster: un luogo che trasforma l’innovazione di livello mondiale in crescita economica da cui tutta la nazione può trarre beneficio.”
Peccato che si sia sentito in dovere di sottolineare questo punto: un’indiretta ammissione della sensibilità pubblica verso la concentrazione di prosperità e sviluppo in pochi luoghi selezionati come Londra, Oxford e Cambridge, mentre altre regioni sono lasciate a languire nell’oblio economico. Una questione spinosa che il Regno Unito trascina da un’eternità.
Un futuro brillante… per pochi eletti
Riflettiamo: se la base delle future startup e delle tecnologie all’avanguardia è ostacolata da problemi strutturali come mancanza di case, infrastrutture idriche inadeguate e traffico da incubo, qual è davvero il messaggio per i giovani talenti? Giocano un po’ a chi arriva prima sul costo della vita o si dimentica di sistemare i servizi essenziali, sperando che il genio innovativo riesca a emergere dal caos.
Intanto gli “eroi” del settore tech come Arm Holdings sono costretti a guardare oltre i confini nazionali per reclutare. Come se il Regno Unito fosse una bella vetrina da cui tutti vogliono trarre qualcosa, ma in cui pochi sono disposti a investire veramente.
Il piano di riaprire la vecchia “Varsity Line”? Un passo indietro con aria vintage che suona tanto come una soluzione last-minute per rassicurare la folla e placare le lamentele su trasporti e abitazioni. Ma fin quando non si tratterà la radice dei problemi con un serio coinvolgimento e investimenti a lungo termine, la Silicon Valley britannica resterà solo un miraggio per pochi privilegiati.
Ah, il favoloso mondo delle previsioni economiche: un luogo dove i guru del denaro possono tranquillamente sbagliare, riallineare le loro stime, e sorprendentemente nessuno strilla allo scandalo. Prendete Barclays, per esempio. Nonostante i numeri trimestrali abbiano disatteso le attese degli analisti, il grande colpo di genio è stato aumentare le aspettative per l’intero anno e annunciare un magnifico programma di riacquisto di azioni per 500 milioni di sterline (circa 667 milioni di dollari). Perché, si sa, comprare azioni proprie è certamente il modo ideale per convincere gli azionisti a non scappare urlando.
Nel frattempo, il nostro insostituibile economista di turno, Thomas Pugh, capo economista di RSM UK, ci regala la sua profezia della settimana con la stessa delicatezza di un martello pneumatico:
“Penso che avremo un vero e proprio buffet di aumenti delle tasse nel prossimo ‘Autumn Budget’.”
Un buffet, davvero. Meno male che almeno qualcuno prevede che mangeremo abbondantemente, chissà se però toccherà pagare alla fine il conto salato o se basterà osservare con stupore i numeri alle stelle delle imposte.
Botta e risposta nei mercati londinesi
Nel regno delle borse londinesi, uno spettacolo più che degno di nota: il FTSE 100 sembra aver deciso di fare l’andatura, sganciandosi verso nuovi massimi martedì scorso sostenuto da un’inarrestabile corsa delle azioni tecnologiche globali. L’indice britannico si è infatti alzato del 2,9% dalla scorsa settimana, come se il resto del mondo potesse attendere.
Per non farci mancare nulla, questa settimana è stata un tripudio di trimestrali con protagonisti d’eccezione: dal padrone di casa Gucci, sotto l’egida di Kering, passando per l’irripetibile Porsche e una variegata schiera di banche. Tutti impegnati a mostrare ai mercati il proprio miglior sorriso, ben sapendo che il vero giudice sarà il portafoglio degli investitori.
Nel frattempo, la sterlina britannica ha deciso di prendersi una breve vacanza da ogni ambizione, scendendo martedì al suo livello più basso, cedendo circa lo 0,7% nei confronti del dollaro americano rispetto a sette giorni prima. Che brillante modo di festeggiare, proprio mentre tutti aspettano che la Bank of England decida il prossimo tasso d’interesse e che il governo annuncerà il suo bilancio autunnale.
Tanto per aggiungere un tocco di suspense, i rendimenti dei titoli di stato britannici a 10 anni, i famigerati “gilts”, hanno fatto marcia indietro rispetto a mercoledì scorso, scendendo da 4,486 a 4,397. Evidentemente gli investitori non vogliono sbilanciarsi troppo, desiderosi di vedere come andrà a finire questo teatrino di numeri e promesse politiche.
Informazioni in arrivo: segnatevi le date… se vi interessa
Se siete fra quelli che non resistono alla tentazione di spiare i dati, ecco il calendario degli appuntamenti da segnare con un mix di ansia e curiosità:
– 29 ottobre: i dati sui mutui da parte della Bank of England per il mese di settembre, perché nulla dice “economia stabile” come vedere quanti nuovi debiti contraggono le famiglie britanniche.
– 31 ottobre: l’indice dei prezzi delle abitazioni di Nationwide per ottobre, perché se casca il mattone, crolla tutto il consenso.
– 5 novembre: le nuove vendite di auto nel Regno Unito per ottobre, un termometro sempre intrigante per tastare l’umore degli acquirenti e capire se lord Britannia ha ancora voglia di spingere sull’acceleratore.
E così tra previsioni trionfanti, cali strategici della sterlina e imprevedibili numeri sul mercato immobiliare e automobilistico, possiamo solo attenderci un autunno degno dei migliori drammi da riunione di board. Il tutto condito da quella sana dose di incertezza che – ammettiamolo – ci fa sentire tutti un po’ più vivi.



