Incredibile, vero? I partiti, da sinistra a destra, sembrano sempre in prima fila quando si tratta di sostenere referendum. Ma, eh già, accanto a questo entusiasmo camaleontico, c’è anche l’opzione astensione, perché far fallire un referendum è altrettanto divertente, giusto?
Partiamo dal lontano 1991, quando Bettino Craxi e un po’ anche Umberto Bossi i primi pionieri della “madre di tutte le astensioni”, decisero di consigliare all’elettorato di non recarsi alle urne per un referendum sulla preferenza voluto da Mariotto Segni. Risultato? L’affluenza schizzò a un incredibile 62,5% con il 95,6% di sì. Una vera scommessa persa, che minò le fondamenta della **Prima Repubblica**, come se non fosse già abbastanza instabile! E in meno di due anni, ecco che la neve portata da **Mani Pulite** seppellì tutto.
Oggi, i referendum abrogativi sono diventati un argomento di conversazione tra i politici, di cui tutti si proclamano grandi esperti. Meraviglia delle meraviglie, ogni partito si affanna a promuovere l’astensione, come se fosse il matrimonio dell’anno. Come si fa a non ridere, pensando a come chi invitava a votare si ritrovi ora a rivendicare il diritto alla fuga dai seggi? Quasi una tradizione nazionale!
Prendiamo, ad esempio, il Partito Democratico, che oggi lotta per abolire alcuni articoli del Jobs Act (sì, quello stesso che hanno varato sotto la guida di Matteo Renzi). Ricordiamo anche il referendum del 17 aprile 2016 sulle trivelle: loro si spesero per l’astensione, etichettando il quesito come “una bufala”. Ah, quanto amore per la verità! E non dimentichiamoci di Giorgio Napolitano, il quale, con il suo carico di autorevolezza, dichiarò che “non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. Davvero molto saggio, vero?
Ma la parte migliore deve ancora arrivare: durante il referendum sulla giustizia del 2022, Enrico Letta, il segretario del partito, optò per una comoda “terza via”. Dopotutto, perché danneggiare l’armonia del partito con un chiaro “sì” o “no”? Meglio incentivare una bella astensione, che alla fine condusse l’affluenza a poco più del 20%. Non è geniale come riescano a evitare di prendersi la responsabilità?
È proprio incredibile come la politica italiana abbia l’incredibile capacità di girare la frittata. Guardate la Lega, un partito che ha fatto del gioco delle parti la sua specialità, ora si trova a celebrare la sua avversione ai referendum, mentre una volta (giusto un attimo fa, se possiamo dire) era in prima linea a chiedere la cancellazione della legge Severino e a separare le funzioni dei magistrati. Ma naturalmente, questo è solo un dettaglio senza rilevanza quando si tratta di sabotare il voto dell’opposizione, giusto? L’importante è avere la narrazione giusta: se sei del partito giusto, il voto è sacro; se sei dall’altra parte, beh, l’astensione è il nobile gesto di un patriota.
È quasi comico, se non fosse tragico, il fatto che ci sia stato un momento, nel lontano 2003, in cui destra e sinistra hanno deciso di unirsi dietro la formidabile barricata dell’astensione. Ricordate il progetto di referendum sponsorizzato dalla Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti? La loro proposta di estendere l’articolo 18 alle piccole imprese fu osteggiata da alcuni compagni di viaggio della Margherita di Francesco Rutelli e persino da esponenti dei Democratici di Sinistra. Non poteva mancare la figura di Sergio Cofferati, l’ex sindacalista che scelse di invitare alla diserzione dalle urne. Risultato? Un’affluenza che farebbe rabbrividire qualsiasi democratico: solo il 25% degli elettori si sono degnati di recarsi alle urne!
Ma sapete, la storia ama ripetersi, e per chi ha memoria, l’ennesimo effetto boomerang si ripresenta, proprio come nel 1991. Dobbiamo tornare a quel 12 giugno 2011, quando si tennero referendum su acqua pubblica, energia nucleare e legittimo impedimento. Chi era il presidente del Consiglio? Indovinate un po’: Silvio Berlusconi. Due giorni prima del referendum, l’illustre leader di Forza Italia annunciò con nonchalance che avrebbe evitato di votare. E, in un colpo solo, il suo invito non attira molti seguaci, come dimostrano i 28 milioni di elettori che si sono presentati: questo sì che è un grande successo per una democrazia! E i risultati? Beh, pochi mesi dopo il governo crollò; detto tra noi, quel referendum avrebbe potuto portare un po’ di fortuna, ma come al solito, niente da fare.


