L’amministratore delegato di Viale Mazzini, con la sua illuminata circolare, ha avuto l’ardire di imporre ferie o aspettativa non retribuita a quei dipendenti che osano avere un’opinione politica, essere «attivisti sindacali» o semplicemente identificarsi con qualche partito, movimento, o associazione non profit. Perché, naturalmente, l’arte di governare le vite altrui è meglio fatta con un bel gessetto e una lavagna!
Ma la giustizia, in questo caso, ha deciso di intervenire. Il Tribunale di Busto Arsizio (sì, proprio quel posto magico dove le cose accadono) ha sospeso cautelarmente questa deliziosa direttiva del nostro caro Giampaolo Rossi, che voleva mettere in riga una vasta schiera di dipendenti, dai cameraman ai tecnici delle luci. Perché, si sa, impedire loro di lavorare in giorni cruciali per il loro futuro politico è un modo veramente originale di dimostrare quanto si tenga alla libertà di espressione!
Il provvedimento è stato impugnato dall’Associazione nazionale lotta alle discriminazioni (Anlod), con il meraviglioso supporto del sindacato lavoratori della comunicazione di CGIL. Che bel colpo! Non solo il provvedimento è stato considerato «discriminatorio» dalla giudice di lavoro, Franca Molinari, ma la stessa ha notato che, nonostante l’intento di «richiamare l’attenzione» dei dipendenti sulle norme di legge, il buon Giampaolo è andato ben oltre la ragionevolezza. Ecco la dimostrazione che i sogni di grandezza possono condurre a decisioni alquanto imbarazzanti.
Non solo: secondo la magistratura, la circolare imponeva a «un’ampia cerchia di dipendenti e ai collaboratori un obbligo di astensione dal lavoro» tramite ferie e aspettativa non retribuita. Chi sono questi dipendenti? Ah, solo moltissimi lavoratori che, per il loro glorioso lavoro di cameraman, fonici e simili, brillano di luce riflessa solo nei titoli di coda. Quindi, secondo la logica di questa circolare, pensiamo che un cameraman possa influenzare l’informazione? Davvero? Forse c’è qualcosa che non ci è chiaro!
Una circolare del genere, secondo il Tribunale, è stata estesa «a tutti i dipendenti e collaboratori, indipendentemente dal fatto che essi abbiano una diretta esposizione in video o in audio, o che siano coinvolti in programmi di informazione, intrattenimento e di altra natura». Stiamo parlando di una misura che «va oltre il limite utile alla tutela dell’indipendenza e imparzialità del servizio pubblico». Ma certo, perché dare la libertà di esprimere opinioni sarebbe troppo rischioso, giusto?
Secondo Molinari, l’effetto prodotto da questa circolare sarebbe «disincentivante» nei confronti della «partecipazione attiva alla vita sociale del Paese». Cosa c’è di meglio che comprimere i diritti fondamentali, come il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero al di fuori dell’ambiente lavorativo? Ah, la dolce ironia di chiedere di partecipare alla vita pubblica, ma solo a patto di non farlo troppo activamente, eh?
La causa proseguirà nel merito il 16 luglio, ma nel frattempo, la sentenza cautelare sta già scatenando il delirio tra i commentatori. Stefano Graziano, capogruppo del Pd in commissione di Vigilanza, non perde tempo a definire «inaccettabile in una democrazia» l’obbligo di fruizione forzata di ferie o aspettativa non retribuita imposto dalla Rai. Naturalmente, quando si parla di diritti, una bella parola, ma solo se non interferisce con le esigenze della politica, vero?
Secondo Graziano, questo provvedimento «conferma il livello allarmante di degenerazione del servizio pubblico radiotelevisivo» (sì, perché tutto va a rotoli e sembra che le autorità stiano prendendo appunti su come non gestire un’azienda). Ma non finisce qui! Ecco a voi la meravigliosa concezione autoritaria, padronale e profondamente antidemocratica con cui l’attuale governance sta gestendo la Rai. Che spettacolo!


