Raffaele Speranzon, senatore di Fratelli d’Italia, si immagina come guardiano della sacralità delle religioni, ma solo quando queste non toccano il suo orticello. Nella diatriba sull’uscita scolastica a una moschea da parte di bambini di Ponte della Priula, ha da dire la sua, naturalmente per distinguerlo da qualsiasi ‘dialogo’ che possa scomodarlo dall’essere coerente.
In un accorato appello alla “reciprocità”, cioè la magica formula per giustificare l’impossibilità di fare visita ai luoghi di culto altrui senza che i bambini musulmani visitino le parrocchie, ha dichiarato: “La reciprocità esisterà nei confronti di una scelta di questo tipo nella misura in cui anche i bambini musulmani delle scuole andranno a fare visita nelle parrocchie.” Chi non ama le gite scolastiche, vero? D’altronde, perché mai bambini di fede diversa dovrebbero approfittare di una visita che, se non altro, porta ad avvicinarli a una dimensione più ampia del mondo? Ma smettiamo di sognare, le famiglie cristiane devono prima vedere i loro bambini armati di crocifissi ai piedi delle moschee.
Continua instancabilmente: “Quando c’è reciprocità non si sbaglia mai.” Diciamo allora che speriamo tutti che questa ‘reciprocità’ comprenda anche il rispetto verso le diverse fedi e culture, almeno mentre si è seduti sulle seggioline del governo. Ma ecco che la realtà si fa beffa dei sogni: “La cosa che stride… è il fatto che dei bambini di appena quattro e cinque anni si siano messi a pregare seguendo dei gesti di un Imam e di una religione che non era la loro.”
Basta un gesto e il mondo si riduce a un macabro teatro? Ciò che è stato banalizzato è stato il tentativo di avvicinarsi a una cultura diversa, ma non si preoccupi, Speranzon, i “gesti religiosi” non si fanno da soli. Ogni religione ha le sue liturgie e bisogna rispettarle, specialmente se alcune liturgie fanno parte delle tradizioni di qualcun altro. Ma chissà, forse questi bimbi su un piede di guerra avrebbero potuto benissimo sperimentare anche l’incanto di farne parte — o non abbiamo tempo per questo?
Musulmani, cristiani, ma davvero c’è bisogno di utilizzare delle contraddizioni per spiegare il rispettabile significato dei gesti religiosi? “Ogni gesto ha un significato”, dice Speranzon, mentre pare non considerare che guardano questi bimbi come un simbolo di speranza per un dialogo genuino. “Mi sembra offensivo per tutti,” conclude. Eppure, i bambini stessi in questo caso, che provano a scoprire e interiorizzare le diversità, non hanno bisogno di un padre che funge da censore.
Immaginando l’ipotesi che le sue figlie avessero potuto vivere lo stesso scenario, la domanda sorge spontanea: Speranzon sarebbe stato in prima fila a protestare, o ci sarebbero state pillole di apertura, diversamente commisurate? Ah, i politici e le loro balle homofatte — non deludono mai! Ammettiamolo, il dibattito sta già rilasciando vapori grotteschi, e noi siamo qui, seduti, a godercela!
Ah, il dialogo e la conoscenza, le fondamenta di un mondo rispettoso… certo, e chissà come mai tali essenziali concetti sembrano così lontani dalla realtà. Quando si parla di religione, le parole volano in alto, ma le azioni? Ah, quelle ballano in un’altra direzione, lasciandomi perplesso come un pesce sguazzante in un bicchiere d’acqua. La preghiera, si sa, è una cosa seria, ma non si capisce mai perché tutti debbano avere una loro interpretazione. Ognuno ha il proprio Dio a cui inginocchiarsi e per carità, ognuno lo fa come crede. Solo un piccolo dettaglio: il rispetto è bello, purché non venga confuso con la missione evangelica.
Naturalmente, Lei sa di cosa parla, avendo radici familiari che lo legano alla cultura e alla religione islamica. Certo, i genitori di sua moglie, originari del Marocco, sono musulmani. È evidente che, considerando questa connessione, possiamo dilungarci sul potere della conoscenza e sull’importanza di evitare incomprensioni pittoresche. D’altronde, perché non credere che comunicare possa farci apprezzare usi e costumi differenti? Ah, la dolce illusione di un mondo che si rispetta! Solo che, portare i bambini di quattro o cinque anni a imitare preghiere che non appartengono a loro è un gioco che, sorprendentemente, non gioca a favore di questa illusione.
Pregare è serio, non un passatempo per bambini. La religione non è un circo, dove si può scherzare o fare commedie; è un’esperienza interiore profonda, quasi metafisica. Ognuno vive la propria spiritualità, non c’è nulla di più vero. Chissà perché le persone non capiscono che non si può insegnare la religione come se fosse in un museo! A chi serve? Forse a chi, incredibilmente, crede che il rispetto si coltivi ‘prendendo in prestito’ le pratiche altrui come se fossero costumi da carnevale. Già, perché a volte vedere la vita come un gioco è l’unico modo per non affrontare la dura realtà.