Quando seguire le cure diventa una missione impossibile per la maggioranza dei pazienti

Quando seguire le cure diventa una missione impossibile per la maggioranza dei pazienti

Il primo documento nazionale condiviso che affronta il delicatissimo tema dell’aderenza terapeutica nelle malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici) non è solo una guida per i pazienti, ma anche un manuale per i professionisti sanitari che si trovano a gestire questa complicata realtĂ . Ce lo spiega niente meno che Salvo Leone, direttore generale di Amici Italia, chiarendo che finalmente siamo in presenza di un “Consensus paper” che promette miracoli nella gestione clinica e nel coinvolgimento dei pazienti.

Ammettiamolo, l’aderenza terapeutica non è una favola a lieto fine perchĂ©, come rilevano i nostri eroi della ricerca, il 40% dei pazienti si fa assalire dal terrore degli effetti collaterali, reali o immaginari che siano. A seguire, la famigerata “treatment fatigue” — ovvero la fatica di ingozzarsi di pillole per un’eternitĂ  — infligge il suo colpo nel 35% dei soggetti. Dimenticanze, organizzazione degna di un clown e, soprattutto, una comprensione pari a zero del fatto che cronico significa “per sempre”, specie tra i piĂą giovani, si rilevano nel 20% dei casi. Ma la vera chicca? MetĂ  dei pazienti ammette candidamente di barare con la terapia, non aderendo a dovere, sia per scelta sia per svista.

A questo punto interviene ancora Leone per regalarci la soluzione definitiva a tutti i nostri mali: migliorare la comunicazione tra medico e paziente. Effettivamente, chi l’avrebbe mai detto? Pare che anche il coinvolgimento creativo del paziente nelle scelte terapeutiche, il cosiddetto “share decision maker”, sia un modo per tamponare l’infernale circolo vizioso dell’aderenza che si sbriciola. Qui il medico porta il prezioso sapere scientifico e il paziente, così generoso, l’esperienza personale — sì, proprio quella che spesso ti fa saltare la terapia perchĂ© “tanto sto bene”.

Non soddisfatti, gli esperti sottolineano anche l’importanza dei caregiver, specialmente per quei pazienti più anziani che da soli non riescono nemmeno a ricordare che hanno una malattia cronica, figurarsi prendersi le medicine. Insomma, un team allargato dove tutti fanno la loro parte: medici super esperti, pazienti che dovrebbero collaborare e famiglie a fare da scudo umano contro la disorganizzazione e la negazione.

Un’aderenza terapeutica da manuale: utopia o realtà distorta?

Sulla carta è tutto oro colato: coinvolgimento, dialogo, decisioni condivise. La realtĂ  invece è una tragicommedia con protagonisti pazienti esausti, farmaci odiati, e medici spesso incapaci di trasformare la “cronicitĂ ” in qualcosa di accettabile per chi vive ogni giorno con la malattia. Come possono aspettarsi che un giovane accetti che la parola “cronico” significhi “per sempre” se il sistema stesso sembra impreparato ad accompaginarlo con empatia e concretezza?

Nel frattempo, tra una dimenticanza e una rinuncia volontaria alla terapia, il 50% ammette di tradire il protocollo. Eppure, in un mondo ideale, basterebbe migliorare la comunicazione e il gioco sarebbe fatto. Sarà davvero così semplice? O forse questi documenti condivisi sono solo un’altra scatola vuota in cui riversare speranze che verranno puntualmente deluse dal caos organizzativo e dalla pigrizia di chi dovrebbe supportare il paziente con dedizione totale?