Una recente indagine nazionale condotta dalla piattaforma di terapia online Unobravo getta luce su quella che si potrebbe definire la vera piaga nascosta dei luoghi di lavoro italiani: il burnout. Non solo un problema emotivo, ma anche una voragine economica spesso ignorata. Con un impressionante 44% di lavoratori che si dichiara stremato dallo stress quotidiano e un 29% già vittima conclamata di questa sindrome, emerge un quadro che definire preoccupante sarebbe un eufemismo.
Il dato più grottesco? Soltanto il 9% delle persone travolte dal burnout ha avuto la forza, o forse anche solo la possibilità, di cercare un aiuto psicologico. Dietro questi numeri, l’indagine del 2025, svolta su oltre 1.500 lavoratori, mette a nudo non solo i settori più colpiti, ma anche le città in cui lo stress si fa più insopportabile, senza risparmiare nessuna fascia d’età.
La Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris, Clinical Director di Unobravo, spiega con ironica lucidità come il burnout sia un lento assalto silenzioso che distrugge chi lavora dal di dentro, mentre i datori di lavoro quasi fingono di non vedere il disastro imminente. E pensare che causa principale di tutto questo inferno è la mancanza di quel semplice riconoscimento che giustificherebbe invece ogni fatica, citata dal 39% degli intervistati. Peccato che i conti in banca continuino a dimostrare che “apprezzamento” e “stipendi dignitosi” siano due mondi paralleli.
Il burnout non è qualcosa che arriva dal nulla come un fulmine a ciel sereno: si insinua, si accumula, come la polvere sotto il tappeto di un ufficio male illuminato. Perché il vero problema non è tanto lo stress che si prova, quanto il fatto che lo stress persistente si trasformi in un esaurimento emotivo, fisico e mentale inarrestabile.
Chi paga il prezzo più alto? I giovani, ovviamente. Più del 56% dei lavoratori tra i 25 e i 34 anni si sente intrappolato in una spirale di stress continuo, con un 16% che ammette di arrivare al punto di rottura ormai permanente. E non sorprende che anche le donne tirino la fila di chi soffre di più: il 51% si dichiara frequentemente sotto pressione, contro “appena” il 39% degli uomini. Un classico gioco al massacro della modernità lavorativa.
Se poi volessimo stilare una “top ten” delle città italiane più infestate dal burnout, Bologna, Genova e Milano si porterebbero a casa le medaglie d’oro. Stress altissimo, supporti praticamente assenti e quella fastidiosa morsa delle difficoltà economiche riescono a trasformare la casa e la vita privata in un’estensione dell’ufficio. Inutile parlare di equilibrio tra lavoro e vita personale, perché qui il lavoro fa il suo comodo e domina incontrastato.
I settori più colpiti
C’è poi la classica lista nera dei settori più “funzionanti” per il burnout, che include senza sorprese i lavoratori del commercio al dettaglio, della sanità e dell’ospitalità. In questi ambiti, una catena senza fine di ore interminabili, accompagnate da un carico emotivo pesantissimo e team risicati all’osso, genera un cocktail perfetto di stress e insoddisfazione.
Eppure, nonostante tutto ciò, la percezione è che ancora quasi la metà di questi lavoratori (oltre il 43% nel commercio al dettaglio) si senta abbandonata a sé stessa, senza alcun tipo di supporto. Un vero miracolo visto che lo stress non va in vacanza nemmeno un secondo.
Ora, tenetevi forte: quasi un italiano su quattro ha contemplato l’idea geniale di mollare tutto per lo stress. Sì, la fiamma del burnout sta diventando una festa nazionale, con il 30% degli sventurati che dichiara di esserne vittima, e per rendere il quadro ancora più tragicomico, solo un misero 9% si azzarda a cercare un supporto psicologico. Ignorare il problema è proprio il modo migliore per ignorarlo, no?
Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo, ci illumina con parole profonde:
“Il burnout crescere silenziosamente, iniziando con una stanchezza cronica, la perdita di motivazione e infine quel meraviglioso distacco emotivo. Molti fanno finta di nulla per mesi o anni, pensano che passerà da sé. Ma invece si insinua lentamente, distruggendo la concentrazione, la fiducia in se stessi e il benessere mentale.”
Già, su tutta questa bellezza, il 69% degli italiani ammette che lo stress sta minando la produttività. Il 25% almeno ha pensato di scappare dal suo posto di lavoro, e il 16% ha addirittura preso un momento di pausa per non sparire definitivamente dal pianeta lavoro. Cose da poco, davvero.
Valeria Fiorenza Perris aggiunge con quella saggezza da manuale di psicoterapia:
“Quando il burnout non viene riconosciuto e affrontato, non fa solo danni ai singoli, ma contagia team e cultura aziendale. Sarebbe carino che i datori di lavoro lo prendessero sul serio prima che diventi qualcosa da accettare come inevitabile.”
Ma aspetta, la parte più divertente è il colpo al portafoglio: tra assenteismo e produttività calante, il burnout costa alle aziende italiane la bellezza di 88,5 miliardi di euro all’anno. Un investimento perfetto per chi vuole far fuggire via i talenti e mantenere un ambiente tossico.
Valeria Fiorenza Perris si chiede, come noi:
“Si parla tanto di performance e produttività, ma intanto il burnout sta sapientemente rovinando entrambe. Quando i dipendenti sono solo mentalmente presenti e emotivamente esausti, il lavoro ne risente e di conseguenza l’intera azienda.”
Cosa dovrebbero fare i datori di lavoro, nella loro infinita saggezza
Riconoscere i primi segnali di burnout? Evviva, un’idea rivoluzionaria! Secondo la nostra esperta, i datori di lavoro dovrebbero smetterla di fare i sordi e agire davvero. Ecco quattro strategie da manuale da adottare, almeno sulla carta, per evitare che i dipendenti si trasformino in zombi emotivi:
1. Creare una cultura aziendale fondata sul supporto: Insomma, lasciamo che le persone non si sentano più degli alieni a parlare di stress. Magari qualche leader dovrebbe farsi vedere vulnerabile una volta ogni tanto e stimolare conversazioni oneste. Chissà, potremmo perfino creare ambienti dove ammettere “Non ce la faccio” non sia più tabù o gesto da deboli.
2. Rendere visibili e facilmente raggiungibili le risorse per la salute mentale: Perché aspettarsi che l’impiegato in crisi abbia tempo e testa per procedure complicate è genio allo stato puro. Il supporto deve essere immediato, semplice, chiaro. Che sia terapia, qualche ora di pausa o un capo con cui sfogarsi, fate in modo che sia a portata di mano.
3. Pianificare i carichi di lavoro pensando davvero al benessere psico-emotivo: Il burnout nasce spesso da richieste impossibili e sacrifici ignobili. Rispettare le pause, fissare dei limiti sensati e ridimensionare le aspettative irrealistiche non è un capriccio, è sanità mentale.
4. Dare priorità all’autonomia e al riconoscimento: Quando un dipendente si sente padrone delle proprie decisioni e vede apprezzato il suo impegno, diventa più resistente allo stress. L’autonomia è antidoto al caos, e il riconoscimento è una boccata d’aria in un ambiente soffocante.



