Quando l’Italia fa il fanalino di coda sui Bot: flop tra Francia e amici del semestre breve

Quando l’Italia fa il fanalino di coda sui Bot: flop tra Francia e amici del semestre breve

Dopo le consuete acrobazie spagnole e le maratone greche, anche Italia riesce a far meglio di Francia in fatto di rendimenti sui titoli di Stato, almeno per le scadenze brevi di 2 e 5 anni. Il Btp a due anni rende il 2,04%, appena sotto il 2,11% del corrispettivo titolo francese (rilassatevi spagnoli: il vostro “bono” è al 2%). A 5 anni, il rendimento italiano è del 2,67%, leggermente inferiore al 2,69% dell’Oat francese. In realtà, il decennale italiano tiene botta con un 3,46%, superando l’1,29% francese. Curiosamente, Grecia e Spagna mostrano interessi uguali o addirittura più bassi di Parigi, come a dire che il tridente iberico e ellenico si prendono una pausa dal solito soffrire.

Non che fosse una sorpresa. Con il governo francese che si aggrappa disperatamente a bilanci sempre più disastrati, mentre l’economia arranca soltanto per non parlare della spesa sociale, sacra e intoccabile come un tempio, era solo questione di tempo prima che i mercati iniziassero a storcere il naso. Se poi ci mettiamo la follia del riarmo con una ventina, anzi novanta miliardi di euro all’anno da spremere come limoni nel prossimo futuro, ecco pronta la ricetta perfetta per qualche futura, inevitabile festa fiscale. A meno che non vogliano ulteriormente indebitarsi (spoiler: non proprio una brillante prospettiva) o tagliare proprio quella spesa intoccabile. Qui da noi in Italia si preferisce la via più sottile: tagli mascherati da mancati aggiornamenti all’inflazione per pensioni e sanità, tanto per mantenere alta la suspense.

Les Echos, il quotidiano economico francese che adora tenere il polso della situazione dell’Eurozona, non ha lasciato scampo: “Il rendimento delle obbligazioni di Stato italiane è calato per via di una maggiore fiducia nel sistema economico italiano. Per la prima volta dal 2005, Roma si è finanziata a 5 anni spendendo meno di Parigi”. Quel tocco di sarcasmo non manca quando aggiungono che l’Italia è abituata agli “psicodrammi politici” ma comunque riesce a mostrare una stabilità che, chissà come, rafforza la qualità del suo credito.

Nel frattempo, la situazione francese non è un romanzo rosa: la minaccia di una mozione di sfiducia al governo Bayrou sul bilancio si fa sempre più consistente, e mantenere un deficit limitato al 5,4% del Pil per il 2025 sembra un’impresa degna di Ulisse. In soldoni: fatelo o scatenate il caos.

Per aggiungere pepe allo scenario, Parigi si deve tenere stretto un altro dato indigesto: nel 2023 il tasso di povertà in Francia ha raggiunto il 15,4%, un record dal 1996, anno in cui si è iniziato a misurare questo genere di “gioie”. In pratica, 9,8 milioni di francesi vivono con un reddito mensile sotto la soglia di povertà, definita come il 60% del reddito medio (1.288 euro per una persona singola).

Non è un episodio casuale: ben 650.000 persone sono cadute al di sotto di questa soglia in un solo anno, un evento che non si vedeva da circa trent’anni. La colpa? Il famigerato blocco degli aiuti straordinari – avete presente quella cascata di bonus e scalette mobili inaugurati nel 2022 per dare un colpo al potere d’acquisto? Addio. D’altra parte, i ricchi si consolano: le rendite finanziarie e una simpaticissima riduzione delle tasse sulla casa principale hanno fatto lievitare i loro redditi, aumentando il divario sociale. Eh sì, il modello francese di sollievo fiscale per pochi selezionati funziona sempre così bene da far sembrare ironiche perfino le rivolte dei gilet gialli.

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