L’Oréal Italia ha annunciato le sei fortunate vincitrici della XXIII edizione del premio “For Women in Science” Young Talents Italia, una manifestazione che quest’anno ha raggiunto il fantastico traguardo di ottenere il patrocinio ufficiale dal Comune di Milano. Un riconoscimento che, ça va sans dire, eleva l’evento a vero e proprio must community, premiando donne che si impegnano nella ricerca scientifica con borse di studio da sogno. Ospiti di riguardo hanno animato la cerimonia: dal Ministro dell’Università e della Ricerca alla delegazione francese, fino a vari assessori regionali e comunali, senza dimenticare le illustri presenze del mondo accademico e di L’Oréal Italia.
Dal 2002 al 2023, questa iniziativa non ha lesinato regalie: ben 112 borse da 20.000 euro ciascuna concesse a ricercatrici italiane. La novità più brillante? Dal 2022 il sostegno monetario è stato trasformato in un vero e proprio premio, con la nobiltà di ampliare la platea delle partecipanti e permettere di combinare i fondi con altri finanziamenti, così da moltiplicare la possibilità di brillare nel campo scientifico restando nel Belpaese. Quest’anno, udite udite, sono giunte più di seicento candidature: un vero colosso di pretendenti al sogno di finanziare studi e progetti innovativi.
Anna Maria Bernini, Ministro dell’Università e della Ricerca, ha voluto dire la sua con parole che trasudano ottimismo e supporto istituzionale, mettendo l’accento su quella rara combinazione di “intelligente generosità” e “spirito di squadra” che dovrebbe muovere la ricerca scientifica. Un discorso costruito con cura per sottolineare come la vera innovazione risieda nella sinergia tra saperi diversi e nella collaborazione tra istituzioni e aziende, laddove non si tratta più di piccole competenze isolate ma di un’orchestra complessa. Insomma, un invito a mollare l’individualismo e a ballare tutti insieme sulla pista della scienza.
Ninell Sobiecka, presidente e amministratore delegato di L’Oréal Italia, non si è risparmiata nei toni celebrativi: orgoglio a palate nel premiare “talenti eccellenti” di giovani donne ricercatrici. Per lei, mai come ora la scienza è questione di squadra, e la presenza femminile è essenziale per portare “una prospettiva diversa” necessaria per affrontare le sfide di domani. In poche parole, le ricercatrici non solo sanno il fatto loro, ma rappresentano un ingrediente indispensabile della ricetta per salvare il mondo scientifico. Un messaggio semplice e d’effetto, da cui emerge l’urgenza di cooperazione e inclusione, condito da un velo di retorica istituzionale che non guasta mai.
La giuria, un glamoroso panel di professori universitari e illustri esperti scientifici, capitanata dalla professoressa Lucia Votano, esasperatamente impegnata all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ha deciso chi, tra queste sei fortunate, merita di conquistare i riflettori. Cominciamo da Sara Bagnoli, neuroscienziata con dottorato che studia come invecchia il nostro cervello ormai purtroppo fragile, sviluppando sofisticati modelli in vitro. Il progetto si intitola casualmente “Sviluppo di un modello innovativo di invecchiamento ex-vivo utilizzando un vertebrato dalla vita naturalmente breve” – perché la brevità della vita è sempre un dettaglio confortante. La sua sede di brillante operato? La Scuola Normale Superiore di Pisa.
E proseguiamo con Chiara Cattaneo, che, con un dottorato in oncologia molecolare, si diletta a sviluppare strategie su misura per immunoterapie nei tumori solidi. Obiettivo: risposte immunitarie personalizzate e potenti, roba su cui si spera che il futuro non ci faccia ridere di questo progetto che suona tanto da science fiction. Lavora nell’iconico Irccs Ospedale San Raffaele, perché nulla dice “avanguardia” come un ospedale con un nome che suona un po’ come un santo protettore dalle malattie.
Poi abbiamo Philippa Cole, astrofisica con la fissazione per buchi neri e materia oscura. La sua fatica? Cercare con onde gravitazionali quei segnali misteriosi che ci parlano di materia oscura. Insomma, un altro bel modo di sprecare onde invisibili per trovare qualcosa che nessuno ha mai visto. Lo fa con la benedizione dell’Università degli studi di Milano-Bicocca, ovviamente.
Non poteva mancare poi Alessia Ferrari, che si diletta con l’ingegneria delle acque. Il suo capolavoro scientifico consiste nel modellare le inondazioni urbane con previsioni climatiche di dubbia affidabilità. L’obiettivo? Gestire il rischio idraulico, perché cosa c’è di più rassicurante che affidarsi a modelli matematici per il prossimo disastro naturale? Tutto questo – rullo di tamburi – all’Università di Parma.
Poi si passa alla fisica sperimentale con Alexa Guglielmelli, che lavora sul confine tra biofisica e nanofotonica, creando superfici nanostrutturate che dicono di potenziare l’interazione tra luce e biomolecole. Il progetto “Bio-Meta” promette una “biopsia liquida chirale” altamente futuristica, roba che sembra più un espediente da serie tv fantascientifica che una vera speranza medica. La sua base? Il Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, naturalmente.
Infine, in ore più umane, ecco Linda Paternò, ingegnera biomedica con un dottorato in biorobotica, impegnata nello sviluppo di robot bioispirati capaci di cambiare forma e rigidità, sfruttando materiali “morbidi” – perché tutto è meglio se è morbido, giusto? Il progetto si chiama con la solita modestia “Materiale robotico soft bioispirato per simulatori gastrointestinali ad alta fedeltà”. La sua cattedrale di ricerca? La Scuola Superiore Sant’Anna, Istituto di BioRobotica.
Ricordate, tutto questo fa parte del programma internazionale L’Oréal-UNESCO “For Women in Science”, iniziato nel lontano 1998, con l’obiettivo – per nulla ambizioso – di far superare alle donne le “barriere” nel mondo scientifico. Eh sì, perché a quanto pare i grandi problemi del mondo si risolvono premiando sei scienziate all’anno, con qualche bel progetto e la solita dose di speranze legate a futuro più roseo. Nel frattempo, però, la disuguaglianza persiste, le percentuali restano bassissime e il mondo scientifico continua a essere un club quasi esclusivamente maschile. Ma non temete: l’industria cosmetica corre in soccorso della scienza!
Ah, la magnificenza del supporto alle scienziate, un programma che, dopo ben 27 anni, si vanta di aver aiutato oltre 4.100 ricercatrici provenienti da più di 110 paesi. Un applauso per premiare “l’eccellenza scientifica” e per ispirare le nuove generazioni di giovani donne a costruirsi una carriera, perché ovviamente un premio è tutto ciò che serve per sfondare in un mondo notoriamente equo e privo di stereotipi.
E non è finita qui: sette di queste stimate scienziate, dopo aver vinto il premio L’Oréal-Unesco, sono state insignite addirittura del Nobel. Sì, proprio loro, quei piccoli dettagli insignificanti come Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, vincitrici del Nobel per la Chimica nel 2020, e Anne L’Huiller e Katalin Karikò, premiate nel 2023 per la Fisica e la Medicina. Evidentemente una semplice onorificenza vale più di anni di lavoro silenzioso e duro, no?
I pregiudizi partono presto, che sorpresa!
Non poteva mancare il promemoria che i pregiudizi di genere fanno danni già dai 7 anni, quando i bambini iniziano a farsi un’idea molto precisa – e del tutto “obiettiva” – su cosa possono o non possono fare le femmine. Quindi, secondo la versione ufficiale, tutto ciò che limita le ambizioni delle bambine è colpa esclusiva di una narrazione sbagliata, un piccolo dettaglio facilmente sistemabile con qualche slide motivazionale e buoni propositi.
Valeria Leva, l’incaricata di turno a tenere il discorso morale, dichiara che la mancanza di modelli femminili “visibili” scoraggia le scelte più ambiziose. Perché, lo sappiamo bene, l’unica soluzione è che ogni bambina veda almeno un’influencer della scienza su Instagram o Facebook per convincersi che può diventare astronauta, ingegnere nucleare o, magari con un po’ di fortuna, presidentessa del consiglio mondiale delle mamme scienziate.
Secondo un’indagine di Inspiring Girls International, il 32% delle bambine tra i 5 e gli 11 anni rinuncia a un sogno perché non vede donne a realizzarlo. Ma dai, davvero? È quasi come se il mondo non fosse stato ancora riprogrammato per accettare le donne in certi campi, e forse la colpa non è solo della loro immaginazione troppo limitata.
Come se non bastasse, l’illuminata Valore D ci assicura che tutto il lavoro per la parità “comincia dai banchi di scuola, dalle famiglie e dagli insegnanti”. Che gran rivelazione! D’altra parte, niente dice “cambiamento culturale profondo” come qualche slogan e un po’ di sensibilità sparsa qua e là, il tutto condito da un avvertimento energico: alle ragazze va detto forte e chiaro che possono diventare ciò che vogliono. Peccato che il mondo reale sembri procedere per una via ben diversa, ma niente paura, con così tanta buona volontà, l’uguaglianza è ormai a un passo… o forse no.