La Commissione europea, con la proverbiale rapidità di una lumaca assonnata, ha deciso di dare il suo preziosissimo benestare all’acquisizione di Banco BPM da parte di UniCredit. Naturalmente, l’approvazione arriva “con condizioni”, quel piccolo trucco di facciata per simulare che la concorrenza nel sistema bancario italiano non sia un concetto ormai relegato ai libri di storia.
L’annuncio, notificato il 24 aprile, è stato analizzato alla lente di Bruxelles in base al Regolamento (CE) n. 139/2004, cioè quel simpatico codice che si attiva quando due giganti si mettono insieme e qualcuno si accorge – oh, miracolo! – che questo potrebbe lasciare i clienti prigionieri di un colosso senza rivali. Quelli che ne soffriranno di più? Ovviamente i poveri cristi, i privati e le piccole imprese, ormai abituati a campare nell’ombra di un mercato preda dei colossi.
UniCredit, quella meraviglia dei circuiti bancari che naviga trionfante tra Italia, Germania e l’Europa centro-orientale, ha deciso di fare man bassa su Banco BPM, il terzo gruppo italiano nato da una delle tante fusioni miracolose del 2017. Lo scopo apparente? “Creare valore”. La realtà? Rimpinguare il proprio potere e dominare il mercato come un gigante che scavalca tutti.
La Commissione europea sembra essersi accesa solo quando ha messo sotto la lente ben 181 aree in cui queste due banche si contendono il territorio come fossero feudatari d’altri tempi, con una selva di filiali destinate a trasformarsi nell’unico sportello ancora aperto in fila per decine di chilometri. E che succede quando la concorrenza sparisce? Aumenti di costi, un accesso al credito sempre più un miraggio, servizi al cliente ridotti alla fame. Ma ovviamente, questa meraviglia la sussurrano solo nei verbali ufficiali, mica nei comunicati stampa ingioiellati.
Sul fronte dei grandi clienti, quei mostri sacri chiamati multinazionali e grandi gruppi, tutto procede con una calma quasi pietosa: quelli hanno ancora la fortuna di poter contare su “concorrenti ben radicati”, dichiara la Commissione. Tradotto? I big possono dormire sogni d’oro. I veri dannati sono i piccoli, quelli che si arrampicano a mani nude: i privati, gli artigiani, le PMI, per i quali oggi ottenere un finanziamento è più una questione di fortuna che di merito.
Poi arriva la sceneggiata dei rimedi: UniCredit suggerisce di cedere ben 209 filiali, un modo elegante per usare la parola “concorrenza” come una telenovela che non convince nessuno. Quel famoso “market test” ha decretato che va bene così, come se i compratori di queste filiali fossero davvero spettatori indipendenti e non semplici pedoni dello stesso gigantesco scacchiere bancario che si divide il Paese come fossero proprietà privata.
L’epilogo è già scritto e sembrerebbe una di quelle tragicommedie in cui cala il sipario su meno scelta e più potere alle banche, con la solita benedizione di chi dovrebbe “regolare” il mercato ma alla fine incassa solo applausi vuoti. La condizione per il “via libera”? UniCredit dovrà mantenere le promesse, sotto l’occhio di un “mandatario indipendente” nominato dalla Commissione europea. Un garante che assicurerà l’imparzialità, tra banchieri che si mangiano a vicenda e istituzioni che fanno finta di essere arbitri imparziali.
In soldoni, ecco il nuovo capitolo verso un mercato bancario monopolizzato come non mai, applaudito con enfasi dalle alte sfere, sacrificando la concorrenza e preparando i clienti – indovinate un po’? – a pagare il conto