Quando l’esperienza diventa solo un modo elegante per dire «siamo tutti vecchi qui»: l’età media in ufficio schizza oltre i 44 anni

Quando l’esperienza diventa solo un modo elegante per dire «siamo tutti vecchi qui»: l’età media in ufficio schizza oltre i 44 anni
Invecchiamento record dei lavoratori Italia tra pensionati rientrati e giovani spariti

L’inverno demografico non ha bisogno di ombrelloni o temperature sotto zero: in Italia gela il mercato del lavoro. Nel 2024, l’età media degli occupati schizza a 44,2 anni, con un aumento di oltre due anni rispetto a soli cinque anni fa, quando la stessa età si fermava a 42 anni. Una deliziosa combinazione fra la drastica diminuzione dei giovani e un’orda di lavoratori over 50, tra cui spicca più di un milione di pensionati richiamati a squarcia gola nel mondo del lavoro: 76mila in più solo negli ultimi cinque anni. Questi dati freschissimi arrivano da una saggia analisi prendendo spunto da documenti INPS, Istat e camere di commercio, giusto per rendere il quadro ancora più incalzante.

Ma non è uguale ovunque, perché a quanto pare l’invecchiamento dei lavoratori è una faccenda geografica: al Centro si concentra la maggiore anzianità, con l’età media che schizza a 44,6 anni. Seguono il Nord con 44,4 anni, mentre il Sud, come al solito più giovane, si ferma a 43,8 anni. Tutto ciò è ovviamente una conseguenza dell’allungamento degli studi, l’innalzamento dell’età pensionabile e di quei piccoli ritocchi demografici che nessuno osa commentare. Così la popolazione invecchia di due mesi, ma i lavoratori sembrano prendere la miglior medicina anti-giovinezza e invecchiare molto più rapidamente.

Se pensavate che aumentare l’età media fosse un’illusione, la smettete subito. Dal 2004 al 2024, la forza lavoro ha guadagnato 1,6 milioni di occupati, ma attenzione: i giovani tra i 15 e i 34 anni scendono di più di due milioni e il gruppo tra 35 e 49 anni si riduce di quasi un milione. Ma c’è una botanica magica che rigenera la forza lavoro: quasi 5 milioni di over 50. E non si tratta di angeli custodi qualsiasi ma di un esercito di pensionati tornati a lottare sul campo, perlopiù imprenditori autonomi e professionisti, ma con quella felice sorpresa di quasi 360mila dipendenti targati “pensione e poi riprendo”.

Neanche gli imprenditori la scampano: la loro età media si è spostata dagli agili 51,1 anni a un più arzillo 51,9. Qualche segnale di sofferenza nel lasciare loro posto ai giovani – il ricambio generazionale sembra una leggenda metropolitana – mentre la generazione che se ne sta come sempre alla finestra si perde la festa della continua impresa.

In Umbria si vanta il primato del maggiore aumento d’età media degli imprenditori: dai già maturi 52,7 passano a 54,1 anni. Toscana e Liguria inseguono con incrementi simili. In fondo alla classifica geografica non è una sorpresa trovare il Mezzogiorno con incrementi deciso: da Campania a Puglia e Calabria, l’età media all’interno delle aziende cresce oltre la soglia dei 50. Solo il Lazio riesce a contraddire questa moda smussando leggermente l’età (50,5 a 50,3), mentre la Lombardia si crogiola nel vanto di avere i più giovani nei piani alti d’impresa con 49,2 anni.

Ma non illudetevi, il quadro è completato dall’emergenza dei cosiddetti “contratti pirata”: quei fastidiosi accordi che strappano tutele, diritti e dignità, gettando addirittura 800mila dipendenti nelle fauci del lavoro sottopagato e senza né previdenza integrativa né assistenza sanitaria. Questi “tesori” si trovano soprattutto nel terziario e nel turismo, dove i contratti collettivi rappresentativi sono uno scherzo lontano.

Nico Gronchi, presidente di Confesercenti, ha commentato amaramente:

“Inverno demografico e dumping contrattuale sono due micce pronte a far esplodere il mondo del lavoro e ridurre all’osso le prospettive di crescita economica. Serve un intervento serio e coordinato, dal rafforzamento degli incentivi per le nuove assunzioni under 35 fino a un regime fiscale facilitato per le imprese giovani.”

Gronchi ha poi aggiunto l’ovvio necessario:

“Occorre premiare la contrattazione collettiva di qualità, detassare non solo gli aumenti salariali dei contratti più rappresentativi, ma anche 13esima e 14esima, spesso assenti nei contratti pirata, per aumentare il potere d’acquisto delle famiglie e spingere al lavoro regolare.”

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