A Pomezia la crisi non risparmia nemmeno le patatine. Dopo il tramonto di Fiorucci, è ora Crik Crok a trovarsi sull’orlo del baratro, anzi, dello scaffale vuoto. Mentre gli ignari consumatori pensano di abbuffarsi di quelle croccanti prelibatezze nei supermercati, dentro l’azienda si consuma una realtà ben diversa: le patatine iconiche ormai spuntano solo in qualche sparuto bar, un piccolo ricordo di tempi migliori. E stavolta non si tratta soltanto di un semplice inciampo aziendale, ma di una concreta minaccia di scomparsa per uno dei nomi più rappresentativi del food italiano.
Negli ultimi mesi la produzione ha sguazzato tra pause e riprese incostanti, come una danza scoordinata, con linee di produzione spesso ferme e stipendi elargiti “a singhiozzo” — anche se la 14esima busta paga è forse rimasta nel limbo di qualche concordato depositato, ben lontana dalle mani dei lavoratori. Se poi aggiungiamo i silenzi imbarazzanti dell’azienda sul futuro, l’ombra della cassa integrazione che tarda ad arrivare e una totale mancanza di comunicazione su ipotetici piani di rilancio, è facile capire perché i sindacati abbiano tirato dritto con un allarme pubblico a colori sgargianti. Ovviamente, ciò ha aumentato le crepe nello “spirito di squadra” tra management e lavoratori, che giovedì si ritroveranno a discutere del destino affidato a un marchio che sembra sospeso in una lunga agonia.
Un “salvatore” sarebbe quanto mai gradito, come sintetizza il segretario della Flai Cgil, Alessandro Vona, per dare a Crik Crok quella scossa necessaria a uscire da una crisi strutturale lunga ormai un decennio. Per chi non lo sapesse, questa azienda dal 1949 è stata una colonna nel tessuto produttivo locale. Fondata da Carlo Finestauri con il nome di Ica Foods, è stata tra i pionieri europei nella produzione di snack salati, ispirandosi agli snack americani introdotti proprio dagli alleati statunitensi sbarcati ad Anzio. Negli anni Ottanta e Novanta, Crik Crok non era solo un marchio: era uno status symbol, grazie a innovazioni come le Puff, le patatine a forma di cuore e campagne pubblicitarie ancora nella memoria collettiva. Dopo essersi smarrita nel tunnel della multinazionale United Biscuits, l’azienda è tornata nelle mani della famiglia, fino all’acquisizione del 2018 da parte di Francesca Ossani. Il piano? Innovare con patatine senza glutine, gusti esotici e packaging all’avanguardia, puntando anche su mercati esteri con una distribuzione che arrivava in 25 paesi. Peccato che la crisi non abbia tardato a bussare nuovamente: ora si tratta addirittura del secondo concordato fallimentare in pochi anni.
La situazione diventa drammatica se si considera che chi lavora ancora continua a farlo con una serietà e una dignità encomiabili, ma senza alcun compenso adeguato. Le segreterie sindacali della Fai, Flai e Uila ribadiscono come l’incertezza non solo non si sia ridotta, ma sia addirittura peggiorata dopo la presentazione del nuovo concordato preventivo. Non è più questione solo dei posti di lavoro a rischio, ma della stessa esistenza di un presidio industriale e sociale fondamentale per il territorio che si trova ora in pericolo.
Così si trova oggi Crik Crok, una gloria italiana che fatica a restare a galla tra aziende sempre più globalizzate e mercati inflazionati, ma anche tra promesse di rilanci mai realizzati. Riuscirà questa icona a salvarsi o farà la stessa fine di tanti altri simboli perduti? Per ora, rimane solo un’amara patata bollente sulle spalle dei lavoratori e un brindisi amaro per chi ancora crede nel made in Italy.



