Quando la Lega si fa paladina del pistolero: il caso di Massimo Zen, la guardia giurata dal grilletto facile

Quando la Lega si fa paladina del pistolero: il caso di Massimo Zen, la guardia giurata dal grilletto facile

Immaginate la scena: Massimo Zen, ex guardia giurata di Cittadella, condannato a quasi un decennio di carcere per aver sparato e ucciso un uomo che stava fuggendo dopo un colpo a dei bancomat. Un gesto che per molti — soprattutto i suoi sostenitori — è stato “solo il suo dovere”. Ecco, ora si riparla di grazia, perché a quanto pare 9 anni e 6 mesi non bastano più.

Tutto parte dal 22 aprile 2017, quando Massimo Zen ferì mortalmente Manuel Major, 36enne giostraio, colpevole di essere fuggito in auto dopo l’assalto a diversi sportelli automatici nella zona di Barcon di Vedelago (Treviso). Ma non finisce qui: ieri, grazie alla solerte iniziativa di Giulio Centenaro, consigliere regionale della Lega-Liga Veneta, è stata inviata una nuova richiesta di grazia al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Peccato che questa volta accompagnata da una petizione online con 1.500 firme, perché si sa, la giustizia si decide con la democrazia digitale.

Si scopre poi che la prima richiesta, quelle presentata l’anno precedente, era stata puntualmente respinta. Motivo? Al tempo mancava la quantificazione del risarcimento da versare alla famiglia di Major. Ora, dopo attente consultazioni, la cifra è stata fissata in 550mila euro, prontamente saldati dall’assicurazione della ditta per cui lavorava Zen. Curioso, no? Prima non sai quanto costa la vita umana e dopo ti danno anche i soldi per risarcire. Giudici sempre attenti alle sfumature.

Nel frattempo, la moglie di Zen, Franca Berto, ci offre il ritratto commovente di un uomo che, a suo dire, ha agito da eroe senza macchia: “Il giudice non ha visto abbastanza segni di pentimento in mio marito”. Ah, la solita storia del cuore di pietra dei criminali. Soprattutto se chi spara si chiama Massimo Zen. E poi, naturalmente, c’è il motivo supremo: la condanna è stata una mazzata per lui e per la famiglia, già provata da sette anni di incerti tormenti legal-giudiziari. E, ciliegina sulla torta, ora il povero Massimo ha bisogno di cure odontoiatriche urgenti, ma il carcere di Verona, dove è rinchiuso dal 16 giugno 2023 in applicazione della sentenza finale della Cassazione dell’1 giugno 2022, si mostra inflessibile. Da qui la richiesta di poter uscire almeno per un controllo dal dentista. Che pena, eh?

Sul fronte istituzionale, ecco entrare in scena il paladino Centenaro, che il 13 giugno ha fatto visita a Zen nel carcere di Montorio, accompagnato dal collega di partito Marco Dolfin. Dopo questo incontro, ha deciso di riportare sul tavolo una nuova domanda di grazia. Ovviamente perché, secondo lui, la condotta di Zen, pur penalmente censurabile, è in qualche modo giustificabile. Perché altrimenti non sarebbe stato uno di loro.

Insomma, la trama si infittisce: azioni violente giustificate come “dovere professionale”, richieste di grazia accompagnate da firme online, risarcimenti milionari saldati dalle assicurazioni, e una famiglia che si strugge per le “malelingue” del giudice e per… i denti di Massimo. Un epilogo da telenovela a cui non manca proprio nulla, nemmeno quel sano senso tragico in salsa sarcasmo che ci ricorda quanto possa essere imprevedibile e controversa la giustizia nel nostro meraviglioso paese.

Zen, analizzando il suo comportamento prima e dopo l’incidente e, naturalmente, l’assenza di intenti criminali. Questi dovrebbero essere, secondo il testo, “elementi che meritano una riflessione di clemenza”. Che magnanimità, quasi da premio Nobel per la giustizia.

Nel frattempo, a margine, Centenaro si prende la briga di spiegare la brillante carriera penitenziaria di Massimo Zen: sta scontando una pena per un gesto compiuto “nell’adempimento del suo dovere”, durante la titanica impresa di proteggere una banca. Senza ironia, ovviamente. Oggi l’uomo necessita di cure odontoiatriche — scelta davvero poco convenzionale in carcere — ma, come immaginerete, non esistono studi dentistici convenzionati con il carcere di Montorio. Geniale! A questo punto, il benemerito Centenaro ha ufficialmente interpellato il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Ostellari, e l’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin. Nel frattempo, Zen abbraccia la filosofia del “non mollare”, vivendo con tre altri detenuti in una cella che definire “piccola” sarebbe un eufemismo. E, per ingannare il tempo, si dedica con entusiasmo all’attività lavorativa presso il canile interno dell’istituto di pena — un modo tenero per trasformare la detenzione in una specie di volontariato forzato.

Franca Berto, in mancanza di altre parole più rassicuranti, chiude con un amaro resoconto di coppia: “Ci sosteniamo a vicenda, siamo una coppia molto unita, ma è dura andare avanti”. Sorpresa delle sorprese. “Anche perché viviamo tutto questo come una profonda ingiustizia”. E non potrebbe essere altrimenti, visto il quadro surreale che circonda il povero Massimo Zen. Giustizia, sanità, diritti umani: un mix esplosivo che qui si risolve in un’amara commedia da carcere.

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