Quando il referendum fa sbadigliare: un terzo degli italiani lo tiene in caldo mentre quasi metà vuole rivoluzionarlo tra quorum fantasma e voto elettronico che fa paura

Quando il referendum fa sbadigliare: un terzo degli italiani lo tiene in caldo mentre quasi metà vuole rivoluzionarlo tra quorum fantasma e voto elettronico che fa paura

Che sorpresa educativa: un misero 30,6% degli italiani ha deciso di trascorrere qualche minuto della propria vita davanti alle urne per l’ultimo referendum, mentre all’estero il consenso si ferma ancor più malinconicamente al 23,8%. Evidentemente, sforzarsi per raggiungere il quorum del 50% più uno era un’utopia che persino i più ottimisti si sono rassegnati ad accantonare. E no, non è una novità degli ultimi giorni: nei trent’anni precedenti, su dieci referendum non costituzionali, solo due hanno visto il fatidico traguardo ormai leggenda. Dunque niente da imparare, o meglio, tutto era già scritto e prescritto eppure sorpresa, molti hanno fatto finta di ignorarlo.

Da una parte abbiamo la CGIL, che con Maurizio Landini in testa ha avuto la felice trovata di riconoscere la sconfitta. Remo al governo del paese che incassa una presa d’atto, per inciso. Dall’altra, invece, il Partito Democratico con Elly Schlein e vari esponenti parte in prima linea nella “lettura positiva” dei dati: sì, la partecipazione è stata “importante”, anzi, spiega la suadente narrazione, esiste pure una robusta “base” che si oppone. Sì, certo, con il 30% che dice “sì” e il 70% che snobba, si può tranquillamente parlare di un popolo risoluto e compatto. Non dimentichiamoci del governo, che nella sua lucida interpretazione vede nella scarsa partecipazione un chiaro segnale di gradimento dell’esecutivo e come il sintomo lampante della pochezza dei temi proposti. Un plauso all’arte della decostruzione del dato.

Chi ne esce vincitore? Nessuno, naturalmente

Ma cosa ne pensano gli italiani, ovvero il popolo sommerso che, fortunatamente o meno, non si è presentato in massa alle urne? La maggioranza schiacciante, 54%, pareva perfettamente consapevole della débâcle e si aspettava proprio un’affluenza così miserabile. Insomma, nessuno shock, tutti avevano fiutato la mancanza d’interesse e di entusiasmo per le questioni messe sul piatto. Interessante, poi, è notare che questa tendenza ad aspettarsi un flop non è monopolio delle forze di governo: anche tra le opposizioni, gli scettici non mancano e addirittura spiccano. Solo un 18%, roba da pretende quasi la qualifica di ottimisti patologici, sperava in una fuga alle urne più dignitosa. Naturalmente questi numeretti salgono quando parliamo degli elettori dell’opposizione, perché, diciamoci la verità, chi li vota si aspetta sempre qualche miracolo.

Passiamo a chi si è effettivamente ricordato di infilarsi la giacca per andare a votare. Il primato, manco a dirlo, se lo aggiudica il Partito Democratico con un sorprendente 80% dei propri elettori coraggiosi o forse solo annoiati. Seguono i sostenitori delle altre liste, vera piccola oasi degli elettori di sinistra e centristi con il 57%. Segue il Movimento 5 Stelle con un dignitoso 45%. Sul versante opposto, in pieno orrore della partecipazione, spicca il centrodestra: nella gloriosa Lega poco più di uno su quattro (25%) ha deciso di far sentire la sua voce, mentre nei ranghi di Fratelli d’Italia il dato è un imperdibile 15%, che ben racconta il livello di interesse o forse l’effetto dell’ennesima domenica passata sul divano a spulciare Instagram anziché spedire la scheda nell’urna.

Le motivazioni dietro la scarsa partecipazione al referendum sono un perfetto esempio di come confondere al massimo le acque. Innanzitutto, si punta il dito sull’abuso di consultazioni referendarie che, come se fosse una novità, le ha trasformate in qualcosa di totalmente inutile per ben il 32% degli intervistati. Ma non è finita: per il 26% la faccenda pare interessare soltanto a quella sinistra troppo impegnata coi propri giochi interni, tanto che qualche commentatore ha addirittura definito il referendum come una specie di conta sterile dentro il Partito Democratico e affini. Che originalità!

Strano a dirsi, ma i fan del M5S, dei centristi e proprio del PD si trovano più o meno d’accordo con la prima spiegazione. D’altro canto, la seconda — quella che vede il referendum come un affare da sinistra — trova casa salda tra i sostenitori di Lega e Fratelli d’Italia. Parlando di scuse, la scarsa informazione sull’iniziativa, tanto discussa in tv e sui social nelle settimane precedenti, convince appena il 13% degli elettori. Forse un segnale che la disinformazione è la scusa preferita solo da chi la usa di meno.

Andando oltre le scuse, il 26% degli elettori ha scelto deliberatamente di snobbare le urne per far fallire il voto, dato che non gli andava proprio giù. Sì, avete capito bene: il non voto qui non è pigrizia ma vera e propria strategia politica—un modo elegante per dire “non sono d’accordo, quindi me ne resto a casa”. Ovviamente, questa forma di attivismo da divano è maggiormente apprezzata dai tifosi delle forze di governo, in particolare FdI e Lega. I supporter di Forza Italia, invece, dimostrano un livello di confusione superiore, spalmando le loro motivazioni di astensione un po’ ovunque, perché mica potevano sembrare troppo convinti.

Al secondo posto tra le scuse c’è il classico “non mi interessano i quesiti”, con un discreto 24% (che schizza al 41% tra i pentastellati e al 31% tra i democratici). Per finire, un sorprendente 17% ha ammesso di aver trovato il referendum semplicemente noioso, troppo abusato per meritare attenzione, un problema che tra i seguaci di Forza Italia sale al 25% e addirittura al 42% tra gli elettori delle liste minori. Che strano: la noia è universale, tranne che per i veri appassionati delle consultazioni!

Il referendum: un’istituzione da rifare o solo da ignorare?

Il magro entusiasmo degli italiani è attribuito da ben il 32% a un logoramento evidente dell’istituto referendario — soprattutto tra i seguaci di PD, dove il dato schizza fino al 51%. In pratica, per loro il referendum non solo è inutile, ma sta anche perdendo quel poco di dignità che gli è rimasta. Altri, più pragmatici, lo considerano una sconfitta sonora per i promotori, cioè la CGIL e le opposizioni (27%), mentre un esiguo 13% vede nel flop un trionfo delle forze di governo. Insomma, un vero capolavoro di ambivalenza politica.

D’altra parte, la maggioranza relativa degli italiani (47%, con un clamoroso 76% tra gli elettori PD) è convinta che il referendum debba essere riformato. Per gli altri (29%), invece, va già bene così com’è, suggerendo soltanto di proporre quesiti più interessanti, magari capaci di far svegliare un po’ gli italiani dal torpore da social network. La strana alleanza tra chi vuole il cambiamento e chi preferisce solo nuove scuse è un bello spettacolo politico da vedere, specie tra chi milita nelle fila di FdI, dove il 55% insiste che il problema è solo la noia e non l’istituto in sé.

Le proposte “rivoluzionarie” per rimettere in sesto la macchina dei referendum raccolgono in sostanza identico consenso. L’idea di parametrarle alla partecipazione alle ultime Politiche piace al 23%; aumentare il numero di firme necessarie al 20%; mentre l’introduzione del voto online tiene a cuore solo il 19%. Verrebbe quasi da dire che il vero problema è che nessuno sa cosa vuole davvero, ma tutti amano puntare il dito.

Il tonfo annunciato e quel che resta

In altre parole, questo referendum mediocre ha ottenuto il risultato atteso: un’affluenza da lamentarsi solo se si fosse puntato a risultati clamorosi, cosa che però non è successa. Le opinioni degli italiani sono rimaste immobili, come fermate da un incantesimo politicamente corretto, senza scossoni degni di nota tra maggioranza e opposizione. Contrariamente a quanto hanno voluto farci credere i vari esponenti politici alla ricerca di visibilità, le forze in campo non hanno subito alcun terremoto. Anche l’analisi di quelli dell’Istituto Cattaneo conforta questo grigiore senza fine.

E, ciliegina sulla torta, se proprio la questione di una riforma referendaria si fa strada, non si traduce affatto in un consenso di massa. Insomma, un binomio perfetto: la riforma è necessaria a meno che tu non sia tra la maggioranza silenziosa che non ha voglia di cambiare nulla. Se proprio dobbiamo parlare di scossoni, questi saranno limitati forse al PD, unico partito dove le differenze di opinioni sono emerse con un certo vigore. Perché, diciamolo, niente unisce di più che un bel referendum inutile che divide anche chi dovrebbe essere unito.

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