«Questa intolleranza arriva da quelle vecchie e lì superevolute forme di fascismi, che cambiano il vestito ma non il veleno di odio verso chi è diverso». Così Adele Zambaldi, vicepresidente del Pride Alto Adige Südtirol, ci illumina con la sua brillante diagnosi sulle peripezie della bandiera arcobaleno nel mese del Pride, che si concluderà con un trionfale corteo a Bolzano il 28 giugno. Dopo che il vicepresidente della Provincia Galateo ha fatto sparire la suddetta bandiera dalla sala stampa, ora tocca al consigliere comunale Salvadori prendersi la sua dose di applausi per l’attacco frontale.
Le è venuto un colpo, il caso Salvadori? «Direi che serve un brillante esercizio di autocontrollo per commentare un episodio così “estremo”. “Per fortuna” questi momenti arrivano direttamente da quella fonte inesauribile di intolleranza: le nuove versioni di fascismi vecchio stampo, con la loro eterna passione per odiare il diverso e schiacciarlo. Curioso che Salvadori, qualche tempo fa, abbia parlato del Pride come di un’imposizione di “una visione culturale e politica radicale”, sottolineando che “la nostra città ha bisogno di unità e di un’educazione al rispetto autentico”. Invito a domandarsi chi realmente stia promuovendo il rispetto e chi, invece, si comporti come un novello nazista, con attacchi frontali alla società».
E per quanto riguarda il prodigio di Galateo? Sarebbe meno grave? «Ma per favore. L’episodio di Galateo è altrettanto preoccupante, perché testimonia che un politico può farsi prendere dal panico davanti a un simbolo di libertà che rappresenta una fetta della popolazione. Così tanto da non reggere nemmeno la sua presenza nella stessa stanza. In parole povere, questi simboli servono a dare voce a chi di solito non ce l’ha. Strano vedere che la bandiera arcobaleno riesca a scuotere l’ambiente pubblico, rompendo finalmente il silenzio sulle tematiche Lgbtqia+».
Però, stranamente, nessuno osa mai mettere in discussione pittogrammi dell’Unione Europea, dell’Onu o dell’Unicef, mentre la povera bandiera arcobaleno… beh, questa è un’altra storia.
Che bel quadro idilliaco della nostra società, vero? Ovviamente, la bandiera arcobaleno è diventata la nuova ossessione nazionale. Perché? “Trovo tutto questo accanimento assurdo, sproporzionato rispetto a rivendicazioni tutto sommato banali,” ci illuminano. Ovviamente, l’ondata delle destre in Europa ha innalzato la temperatura: le sparate di figure come Donald Trump, che negano persino l’esistenza delle persone trans, non sono solo preoccupanti, ma sono la ciliegina sulla torta di un cocktail di odio moltiplicato e sdoganato anche qui. Ora, lo sappiamo tutti, citare con leggerezza fascismo e nazismo si fa banale quanto l’ultima stagione di una serie tv.
I simboli, si sa, danno fastidio proprio perché sono simboli: più li ostenti, più ti fanno discutere. E la bandiera arcobaleno è il peprezzo perfetto. “Più si vede, più si discute”, sembra quasi uno slogan motivazionale, peccato che quell’”interessante dibattito politico” finisca spesso sotto la soglia dell’umano, culminando in paragoni con gerarchi nazisti. Ah, certo, perché no? Perché limitarsi a un normale dibattito sui diritti quando puoi buttarci dentro paragoni inquietanti? Quando si supera il limite della decenza, in effetti, il confronto diventa quasi spaventoso… ma poi che bello fare i vittimisti.
E sul fatto di trasformare il “vilipendio della bandiera arcobaleno” in un reato, come quello del Tricolore? Eh no, niente da fare: “Mi parrebbe troppo, fin troppo estremo,” ci dicono con la prudenza di un giudice della Corte Suprema. Del resto, perché limitarsi a punire chi offende il Tricolore, simbolo nazionale, se possiamo lasciare il libero arbitrio nel vilipendere la bandiera che suscita tanto tanto fastidio?
Ah, e le scuse di Salvadori? “Lasciano il tempo che trovano.” Ovviamente, essere provocatori citando terrori e orrori nazisti rimane, udite udite, grave. Ma tanto poi c’è sempre il “mea culpa” che arriva a salvare le apparenze. Tra l’altro, si spera – anzi, si prega quasi – che il partito di Salvadori si decida finalmente a prendere le distanze con qualche azione concreta e non solo belle parole.
I Pride, invece, servono eccome, e non per colmare l’ignoranza popolare quanto per ricordare a chi vive nell’ombra dell’odio e della nostalgia per momenti di oppressione che esiste anche chi lotta “per una vita degna e all’insegna della libertà”. E come ogni anno, “lo ricordiamo negli spazi pubblici: con i nostri simboli e i nostri corpi.” Ovviamente, il calendario segna anche il 28 giugno 2025, e poi, sempre.