Quando i contributi in busta paga diventano un mistero non imponibile che fa arrabbiare tutti

Quando i contributi in busta paga diventano un mistero non imponibile che fa arrabbiare tutti

I lavoratori dipendenti che entro la fine del 2025 raggiungeranno i requisiti per la pensione anticipata flessibile (Quota 103) o per la tradizionale pensione anticipata (almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, con un anno in meno per le donne) hanno una nuova brillante opportunità: se decidono di restare a lavorare, possono chiedere al datore di lavoro che i contributi previdenziali a loro carico vengano pagati direttamente in busta paga. Ecco la chicca: questi contributi non saranno soggetti a tassazione. Un vero e proprio regalo dell’Inps, spiegato con dovizia di particolari in una precisa circolare dedicata alla legge di Bilancio 2025.

Ovviamente, il datore di lavoro non si libera da tutti gli oneri contributivi: resta valido il versamento della quota IVS (invalidità, vecchiaia, superstiti) a carico dell’azienda. Quindi, la posizione assicurativa del dipendente continua a crescere ma solo grazie al datore di lavoro, mentre la parte a carico del lavoratore diventa miracolosamente esente da tasse se si usufruisce di questa “opzione”. Magia!

I contributi del dipendente che sceglie questa via vengono erogati con la retribuzione in busta paga e, ciliegina sulla torta, non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini fiscali. A proposito, per chi ama i dettagli temporali, il diritto alla pensione con Quota 103 scatta sette mesi dopo aver raggiunto i requisiti per i lavoratori dipendenti del settore privato (quindi da agosto 2025), e nove mesi dopo per quelli delle pubbliche amministrazioni (da ottobre 2025). Quanto alla pensione anticipata tradizionale, basta attendere tre mesi dalla maturazione del requisito contributivo (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne) per godersi l’agognato riposo. Sempre, però, fino a quando non si decide di revocare oppure si ottiene una pensione diretta, eccezion fatta per chi riceve l’assegno di invalidità.

Non si tocca, per la cronaca, l’importo della quota pensionistica calcolata con il vecchio sistema retributivo. Ma la beffa arriva sul montante contributivo individuale: poiché la base imponibile per i periodi interessati viene calcolata applicando solo l’aliquota a carico del datore di lavoro, al momento del ritiro dal lavoro la pensione sarà inferiore rispetto a quella che si sarebbe ottenuta con la contribuzione piena. Traduzione? Il mancato versamento della quota contributiva a carico del lavoratore (pari al 9,19% della retribuzione per i privati) fa scendere l’assegno in modo più o meno significativo. Insomma, fregatura mascherata da vantaggio flessibile!

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