L’intossicazione da botulino torna a farsi strada con la sua orbita sinistra, proprio ora che meno ce lo aspettavamo, tra Calabria e Sardegna. Un avversario invisibile, ma onnipresente, che si ripresenta a cadenza quasi rituale, ricordandoci che la nostra serenità alimentare non è mai garantita. Che cos’è, dove si annida, come riconoscerlo e soprattutto come non farsi fregare da questa subdola minaccia? Le risposte, tra verità scientifiche e qualche spunto per evitare il peggio, sono più che mai necessarie.
Partiamo dall’inizio: il botulino, quell’eminenza grigia del mondo microbiologico, prospera nell’assenza totale di ossigeno. Lo si può trovare silenzioso nel terreno, tra sedimenti o nella polvere, impeccabilmente nascosto come una spora – una piccola bomba a orologeria. Gli alimenti possono entrare in contatto con queste spore, ma attenzione: diventano davvero pericolosi solo quando queste spore si risvegliano e si trasformano in cellule vigorose che producono le tossine micidiali responsabili del botulismo.
Fortunatamente, non tutti gli alimenti sono suo terreno fertile. Conservare il cibo “giusto” significa automaticamente mettere una barriera quasi invalicabile al botulino. Per esempio, tutte quelle conserve naturalmente acide o rese acide – come la passata di pomodoro o i sottaceti – si difendono bene. Idem per quelle in cui zucchero o sale raggiungono concentrazioni altissime, come marmellate, confetture o salamoie. Inoltre, tutto ciò che è mangiato fresco è in genere una zona franca, virtuosa e immune da questa minaccia.
Ma passiamo alla parte più inquietante: i sintomi di questo ospite indesiderato. All’inizio sono così sfumati da essere scambiati per normali fastidi, ritardando così la diagnosi e favorendo l’aggravarsi del quadro clinico. I segnali definitivi, quelli che dovrebbero far suonare tutte le sirene, compaiono generalmente entro 24-72 ore dall’assunzione del cibo contaminato: sdoppiamento della vista, difficoltà a mettere a fuoco, occhi pigri che non tengono le palpebre alzate, pupille dilatate, bocca arida come un deserto, complicazioni a deglutire e, non ultimo, una stitichezza da far impallidire. Nei casi più estremi, la situazione si fa drammatica con il rischio di arresto respiratorio e, in rare occasioni, la morte stessa. Non esattamente una passeggiata.
Appena si percepiscono i segnali di questa disfatta anatomica è fondamentale correre immediatamente in ospedale. Il botulino, uno dei veleni naturali più temibili esistenti, richiede la somministrazione pronta di un’antitossina e trattamenti di supporto che soltanto un ambiente medico può garantire. L’antitossina, va detto senza fronzoli, è efficace solo nelle primissime fasi dopo l’ingestione, perché agisce sulle tossine ancora in circolo nel sangue e resta impotente contro quelle che hanno già fatto il loro sporco lavoro sulle terminazioni nervose.
E la bollitura salva davvero la situazione? Forse vi aspettereste un rassicurante sì, ma la realtà è leggermente meno confortante. A 100°C, infatti, la bollitura non è abbastanza potente da distruggere le spore del botulino, che rimangono intatte e pronte a moltiplicarsi nuovamente e a sfornare tossine. L’unico “lampo” di sicurezza è che la bollitura in grado di raggiungere certe temperature inattiva la tossina stessa una volta prodotta, ma insomma non è certo una bacchetta magica che elimina il problema alla radice.
Far bollire una conserva sospetta per 5-10 minuti la rende magicamente (e temporaneamente) sicura, purché venga consumata immediatamente. Sì, perché il consumo rapido impedisce a quelle spore di regalare una nuova produzione di tossina. Davvero rassicurante, no?
Come si fa, allora, a preparare una conserva fatta in casa degna di questo nome e soprattutto sicura? In casa, fortunatamente, si possono tranquillamente preparare quelle conserve che non necessitano di sterilizzazione, come sottaceti, alimenti in salamoia, marmellate e confetture. Peccato che dietro questa semplicità si nasconda l’onnipresente necessità di rispettare regole igieniche rigorosissime – sì, proprio quelle che pochi hanno voglia di seguire.
Quali controlli fai sulla conserva prima di aprirla?
Prima di aprire una conserva, il primo check è rivolto al contenitore stesso: occhio a eventuali sversamenti di liquido o alla perdita del vuoto, che è il segnale universale del “non fidarti”. I tappi o le capsule metalliche dovrebbero essere piatti o leggermente concavi, non convessi, e se al gentile tocco del dito senti un fastidioso “click clack”, buon per te, il vuoto se n’è andato in vacanza.
In queste situazioni, la tua conserva non è più un alleato ma un potenziale despota batterico, che ormai ha avuto tutto il tempo di proliferare e produrre gas, e magari tossine. Consumare? Idee da geni del male.
Il congelamento: un salvatore o solo una bella illusione?
Se pensi di congelare una conserva per “neutralizzare” ogni rischio, beh, congratulazioni per l’ingenuità . Il congelamento, da solo, non elimina il rischio di botulismo. Sì, può forse rallentare un po’ la crescita di quel simpatico Clostridium botulinum, ma le spore di questo signor batterio sono coriacee come pochi e sopravvivono beate sul ghiaccio – per poi riprendere il lavoro sporco appena l’alimento si scongela.
Dopo aver aperto la conserva: ricordati il frigorifero, ma con cautela
Una volta aperta la conserva, l’eroico frigorifero è lì a rallentare la disfatta dell’alimento, ma non a scongiurarla completamente. Quindi, se il prodotto ti sembra alterato nell’odore, nel colore o nella consistenza, evita di fare da cavia e gettalo senza pietà . Consumare “a naso” è la ricetta perfetta per il disastro gastronomico.
Sintomi sospetti dopo aver mangiato una conserva? Mantenere la calma (mica semplice)
Hai rischiato di mangiare una conserva sospetta e ora ti senti uno zombie? Ecco i sintomi da non sottovalutare: bocca asciutta, nausea, problemi di movimento degli occhi, visione doppia o difficoltà ad alzare le palpebre. Se hai uno di questi, non andare in panico ma corri dal medico o al pronto soccorso più vicino. E fai il bonus da bravo partecipante: porta con te il residuo della conserva o il vasetto anche vuoto, perché per i medici l’informazione è oro – anche se un po’ inquietante.



