Premio DCG 2025 al giornalismo che smaschera la flotta fantasma russa: ecco cosa si nasconde davvero sotto il mare

Premio DCG 2025 al giornalismo che smaschera la flotta fantasma russa: ecco cosa si nasconde davvero sotto il mare

Una nuova inchiesta, che ci arriverebbe fresca fresca da un team di giornalisti investigativi europei decisamente impegnati, ha scoperto il segreto nascosto dietro la vendita di 230 petroliere obsolete alla cosiddetta “flotta ombra” russa: niente meno che oltre 6 miliardi di dollari profittati da armatori occidentali. Un capolavoro di moralità finanziaria, non c’è che dire.

All’ambitissima cerimonia di premiazione, che si è tenuta nella solare Strasburgo nella sala stampa del Parlamento europeo, intitolata alla coraggiosa Daphne Caruana Galizia, si sono presentate nomine di rilievo come Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, e Pina Picierno, vicepresidente e custode del premio che porta il nome della giornalista maltese assassinata. Immancabili anche i membri della giuria indipendente, pronti a incoronare il report vincente con il solito aplomb istituzionale.

Roberta Metsola ha voluto ricordarci, fra il serio e il faceto, come “il Premio Daphne Caruana Galizia confermi il legame indissolubile tra stampa libera, democrazia e pace”. Ovviamente, perché niente è più democratico di svelare che questi armatori ci stanno facendo un pacco così da anni. Ha poi aggiunto che “in tempi in cui regimi autoritari cercano di zittire la verità, l’Europa resta d’esempio nel sostenere i giornalisti che denunciano corruzione”—salvo poi non muovere un dito contro certi soci commerciali inaffidabili.

Fra il 21 maggio e il 31 luglio 2025, centinaia di giornalisti provenienti da tutti i 27 paesi membri dell’Unione Europea si sono dati da fare inviando ben 316 storie investigative. Ovviamente, la classe dirigente ha selezionato con cura solo 10 storie da mettere sotto i riflettori, e da lì è uscita questa “gemma” che fa tremare i polsi — o forse solo i portafogli.

Un’inchiesta di classe mondiale con un twist di eleganza europea

L’inchiesta, orchestrata dalla piattaforma investigativa Follow the Money insieme a ben 13 testate e 40 reporter sparsi in giro per il continente, è riuscita a far emergere una rete di armatori occidentali che, vendendo petrolieracce datate alla flotta ombra russa, si sono messi in tasca più di 6 miliardi di dollari. Nulla di troppo sospetto: droga, armi, e cenerentole del mare, ma tutto corredato da splendide coperture proprietarie opache e, ciliegina sulla torta, con navi praticamente senza assicurazioni ambientali.

Queste navi, più che a far girare l’economia globale, sembrano essere impegnate in una lotteria ecologica dal rischio elevatissimo. I giornalisti hanno usato ogni trucco del mestiere: dal classico giornalismo investigativo alle analisi dati, fino a svolgere il lavoro certosino di tracciamento satellitare, per svelare gli intrecci societari, i flussi commerciali e perfino gli umori dei marinai, quei poveri cristi che lavorano in condizioni che lasciano piuttosto a desiderare.

Il gioco di squadra degli europei si è spinto oltre: hanno smascherato una fitta ragnatela di collaboratori che favoriscono la Russia nell’evitare le sanzioni— tra cui ben otto agenzie con quartier generale proprio nel cuore dell’Europa. Per un tocco di varietà e geopolitica, ben venti di queste agenzie reclutano equipaggi in Ucraina. Un mix semplicemente irresistibile.

Al centro della scena, membri dell’equipaggio di 60 navi della flotta ombra sono stati collegati a società europee con la precisione di un detective da romanzo, dimostrando non senza un pizzico di sorpresa come anche le normali imprese del Vecchio Continente non siano immuni dal finire coinvolte nell’economia di guerra russa. Insomma, niente paura, siamo tutti complici, ma con stile.

L’inchiesta è stata pubblicata grazie a una collaborazione a dir poco internazionale e variegata, che include nomi altisonanti come De Tijd (Belgio), Süddeutsche Zeitung e WDR (Germania), The Times (Regno Unito), IRPIMedia (Italia), e vari altri partner nordici e mediterranei. A questo punto, a chi non viene voglia di farsi un giretto sulle acque torbide dei rapporti commerciali europei?

Il premio che celebra il giornalismo e il gioco dell’ipocrisia

Il premio, sponsorizzato dal glorioso Parlamento europeo, onora la memoria di Daphne Caruana Galizia, giornalista investigativa maltese che ha osato scavare troppo a fondo nella corruzione e che nel 2017 è stata eliminata da una bomba piazzata nella sua auto. Un premio annuale, quindi, non solo per premiare l’eccellenza giornalistica, ma anche per ricordare quanto possa essere rischioso disturbare certi sonni «europei» così ben protetti.

Il premio, aperto a giornalisti professionisti e gruppi provenienti da qualsiasi Paese, ammette però soltanto storie pubblicate o trasmesse da testate basate in uno degli Stati membri dell’Unione Europea. Perché non si deve mai dimenticare il vecchio adagio: il giornalismo è libero, purché sia ben controllato. Il riconoscimento — e un generoso premio in denaro di 20.000 EUR — testimoniano quanto l’Unione Europea tenga al giornalismo investigativo… soprattutto finché non fa troppa luce sui loro affari.

Glorie passate: un museo del politically correct

Solo per togliere ogni dubbio sull’esclusiva qualità e sull’esplosività di questo premio, ecco qualche nome dei vincitori delle edizioni precedenti:

– 2021: il progetto Pegasus, un classico intramontabile delle intercettazioni di massa coordinato dal consorzio Forbidden Stories;

– 2022: il documentario “La Repubblica centrafricana sotto l’influenza russa,” un colpo da maestro geopolitico che ha acceso i riflettori su un altro angolo buio del mondo;

– 2023: un’indagine congiunta sul tragico naufragio dell’imbarcazione Pylos, che trasportava migranti, realizzata con la collaborazione di diverse testate internazionali;

– 2024: un’inchiesta sui minori stranieri non accompagnati scomparsi, intitolata emblematicamente “Lost in Europe”; quella che si potrebbe definire una tradizione di cronache “sentite” e “dense” di retorica, per non farsi mancare niente.

Daphne Caruana Galizia: morte, memoria e politica maltesi

Daphne Caruana Galizia non era solo una giornalista: era una vera icona dell’anticorruzione a Malta, capace di inchiodare i potenti con inchieste sulla corruzione, il riciclaggio, persino la vendita di cittadinanze e i Panama Papers. Naturalmente, questo suo dono non le ha portato solo ammiratori, ma anche minacce e ritorsioni, culminate nell’attentato che l’ha portata via il 16 ottobre 2017.

Le proteste a seguito della gestione discutibile delle indagini hanno scosso il governo maltese fino alle dimissioni del primo ministro Joseph Muscat. Nel dicembre 2019, persino i deputati hanno alzato la voce chiedendo l’intervento della Commissione europea, perché a quanto pare, a questo livello di scandalo, neanche la vecchia Europa riesce più a fare finta di niente.

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