Petruzzelli, Anac scopre il genio: Emiliano si autoincensa e autoproclama nel Consiglio

Petruzzelli, Anac scopre il genio: Emiliano si autoincensa e autoproclama nel Consiglio

Che festa consolatoria per i 66 anni del nostro governatore: una bella doccia gelata firmata niente meno che dall’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, che ha deciso di aprire un’istruttoria sull’intricata storia del doppio ruolo di Michele Emiliano nella Fondazione Petruzzelli di Bari. Per dirla in parole semplici: qualcuno si è accorto della poco elegante coincidenza, e ha deciso che questa storia puzzava di conflitto d’interessi e incompatibilità. Non proprio il regalo di compleanno che ci si aspettava.

Vediamo di fare un riassunto per chi non ha seguito la soap opera. La Fondazione Petruzzelli, quella del teatro lirico e sinfonico, è di diritto privato ma, oh sorpresa, riceve dalla Regione Puglia – che ne è tra i principali soci fondatori – un contributo da 3 milioni all’anno. Il problema? La Regione ha nominato, con tanto di nomina firmata dal suo vice-presidente, assessore Raffaele Piemontese, Emiliano come proprio rappresentante nel consiglio di indirizzo della fondazione. E qui scatta la caterva di occhi storti: possibile che il presidente della Regione debba pure sedere in quel consiglio così delicato?

Chi ha gestito questa delega si è comunque premurato di evitare che Emiliano firmasse lui stesso la nomina, tirandosi fuori dall’etichetta di «autonomina» in senso stretto. Peccato che questa mossa da maestro NON sia bastata a tranquillizzare il ministero della Cultura che, ammonito da chissà quale chiaroveggenza, ha innescato le procedure Anac e ha scritto al sindaco di Bari, Vito Leccese, che ha l’ingrato onore di essere presidente di diritto della Fondazione, chiedendo lumi e chiarimenti più approfonditi.

Secondo il ministero, infatti, lo statuto della Fondazione precisa che la facoltà di nominare il rappresentante non spetta genericamente alla Regione, bensì direttamente al presidente della giunta regionale. E indovinate chi è? Esatto, proprio Michele Emiliano. Ah, le piccole incongruenze che rendono tutto così… divertente. Non è proprio uno spettacolo di teatro, ma paradossalmente siamo lì.

L’intreccio surreale tra autonomie e conflitti d’interesse

Che il governatore possa, sul piano interpretativo, assumersi la carica di rappresentante nella Fondazione che riceve cospicui fondi pubblici è davvero il sublime concetto di “mezzo bicchiere pieno”. Nel gergo meno educato, significa che si sta sedendo da ambo le parti del tavolo, cucinando un bel mix di potere e controllo senza soluzione di continuità.

Da un lato, Emiliano è il massimo esponente della Regione che finanzia l’ente con milioni di euro; dall’altro, siede nel consiglio di indirizzo della stessa fondazione, coordinando o influenzando decisioni di gestione che, magicamente, vedono passare i soldi pubblici da un bilancio regionale direttamente alle casse del teatro.

Qualcuno chiami pure la bacchetta dell’Anticorruzione: è evidente che nessuna indipendenza può esistere quando il direttore d’orchestra è lo stesso che tiene in mano anche la cassa. È un po’ come farsi giudice e parte nello stesso processo: un’inedita performance teatrale che non dovrebbe esistere in una democrazia seria, ma qui siamo in Italia, e lo sapete come funziona.

Chi decide chi decide e le clausole a prova di cavillo

Lo statuto della Fondazione, che potrebbe sembrare un’architettura giuridica sofisticata e rispettosa, si rivela invece la scenografia perfetta per queste operazioni ambigue. Cinicamente, affida la nomina al presidente della giunta, e non genericamente alla Regione, come se il legislatore avesse voluto giocare il miglior poker di contraddizioni possibili.

E così, mentre la Regione si lava le mani attraverso il gesto di una firma secondaria della nomina affidata al suo vice, la realtà è che il vero decisore rimane il governatore, che si insedia con duplice veste, tra premio e punizione. Una situazione da manuale delle contraddizioni italiane, che suscita legittimamente la reazione dell’Anac.

Forse sarebbe anche il caso di chiedersi: ma questo agire è davvero compatibile con i principi di trasparenza e indipendenza che dovrebbero governare enti pubblici finanziati da soldi pubblici? Spoiler: la risposta sembra un chiaro no, e l’istruttoria appena avviata sembra dirlo senza mezzi termini.

Quindi, se anche per voi questa matassa intrecciata non ha molto senso, sappiate che non siete soli. Nel frattempo, la politica e gli enti preposti cercheranno di mettere una pezza, o forse semplicemente continueranno la loro danza consueta fatta di nomine, doppi incarichi e sotterfugi degni di un romanzo giallo con pochi lettori entusiasti.

Immaginate la scena: un unico soggetto che decide di nominare se stesso e, ciliegina sulla torta, viene anche nominato. Un colpo di scena degno di un romanzo, ma invece siamo solo nel meraviglioso mondo della burocrazia italiana. Nel mezzo, spunta anche un altro piccolo dettaglio dimenticato: il preteso rispetto di una norma statutaria che dice chiaro e tondo che «i componenti del consiglio di indirizzo devono agire in piena autonomia e rispondere solo alla Fondazione». In parole povere: devono ignorare completamente i soci pubblici e privati che li hanno scelti, come se fossero supereroi del diritto.

Ovviamente, dalle stanze dorate di chi ruota intorno a Emiliano arriva un eco di cauto ottimismo. Perché? Prima ragione da manuale: il presidente avrebbe sottolineato di voler restare “temporaneamente” nel Petruzzelli, giusto in attesa del governo regionale che verrà deciso alle urne tra sapienti strategie di autunno. Ma la vera chicca è un’altra: a quanto pare, i magistrati della normativa anti-corruzione non si sono accorti che il ruolo del consigliere in questa mura gloriosa è solo decorativo. Già, nulla di più che un bel distintivo senza dover gestire fondi o conti correnti. Gli antichi e potenti cda degli enti lirici sono stati ammazzati da una riforma che ha svuotato i consigli di indirizzo, trasferendo magicalmente i veri poteri nelle mani del sovrintendente. Boom, corrosione totale della democrazia interna.

Insomma, l’Emiliano di turno è destinato a diventare un ponte, ma non un ponte qualunque: uno di quelli che crolla alla prima bufera politica. Perché sì, l’incarico arriva ad un termine prestabilito, o fino a quando il consigliere non decide di dire basta, ma guai a pensare a qualche cambio in stile “poltrone che girano” – qui la politica si ferma al portone.

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