Il mercato petrolifero si mostra sorprendentemente zen di fronte alle minacce israeliane di rovesciare il regime iraniano. Le esportazioni dal Medio Oriente navigano tranquille, senza risentire minimamente dell’escalation di tensione. Gli operatori sembrano convinti che il tanto vituperato Stretto di Hormuz continuerà a funzionare senza intoppi, come se niente fosse.
Intanto i prezzi del petrolio viaggiano verso l’alto con la grazia di un passeggero senza fretta: il Brent guadagna quasi il 2%, attestandosi attorno a 74,60 dollari al barile, mentre il WTI non è da meno, con un +1,69% a 72,98 dollari. E quale indizio migliore di un’analisi delle rotte navali? Ecco che i dati sulle navi nel famigerato Stretto di Hormuz non mostrano alcuna riduzione del traffico: tutto procede come se non ci fosse una guerra alle porte.
Qui sta il vero colpo di scena: ogni giorno ben 21 milioni di barili attraversano quest’imbuto strategico, provenienti niente meno che da Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti. Un terzo del petrolio mondiale via mare passa proprio di lì, eppure pare che nessuno voglia davvero far saltare il banco.
Secondo Homayoun Falakshahi di Kpler, niente panico: nessuna diminuzione nel numero di petroliere in transito. Gli attacchi, se proprio vogliamo chiamarli così, si sono limitati a qualche danno interno all’Iran, risparmiando gli hub petroliferi principali come Kharg e, diciamo la verità, persino Teheran. È evidente che Israele punta a intralciare la logistica iraniana senza però mandare in cortocircuito i mercati globali, che a dire il vero sembrano più fragili di quanto non vogliano ammettere.
Nonostante le minacce di Teheran sul blocco dello Stretto di Hormuz – già sentite più volte in passato –, gli esperti scommettono, con una fiducia quasi ingenua, che il traffico marittimo non verrà mai interrotto. Questo grazie anche a un “miglioramento” nelle relazioni tra Iran e Arabia Saudita, come se uno straccio di dialogo potesse davvero fermare le mire strategiche di un regime. Anche se Teheran ha provato in passato – negli anni ’80 e nel 2019 – a mettere in difficoltà alcune navi, un blocco completo del passaggio è sempre rimasto un’utopia.
JPMorgan e la compagnia britannica per il commercio marittimo sembrano quantomeno ottimisti o forse semplicemente pratici: la linea ufficiale è che il rischio di chiusura dello Stretto è praticamente nullo. Un lieve calo nel traffico? Sì, ma niente che ricordi da vicino un blocco. Da Rystad Energy, invece, arrivano parole che suonano come ammonimento: Janiv Shah ricorda che un blocco avrebbe conseguenze catastrofiche per il mercato petrolifero, ma insomma, lo scenario è più che improbabile.
Alla fine il copione sembra scritto: se Iran decidesse di farsi sul serio, punterebbe altrove, magari colpendo i giacimenti petroliferi di Arabia Saudita e Iraq. Ricordate l’attacco del 2019 al più grande impianto saudita? Quella sì, una cartolina da guerra. Ma per ora tutto questo è considerato un piano “ultima risorsa”, e nessuno, da una parte o dall’altra, pare interessato a sferrare il colpo finale alle infrastrutture energetiche globali, almeno non ancora.