Michael Bruun, co-responsabile mondiale del private equity presso Goldman Sachs Alternatives, ha spiegato che un costo del capitale più basso è solo uno dei tanti fattori – insieme al restringimento degli spread creditizi, la volatilità in calo e una stabilizzazione delle valutazioni – che stanno creando un’illusoria prospettiva migliore per il private equity.
Una terza riduzione consecutiva da parte della Fed consoliderebbe questa tendenza al ribasso dei costi di finanziamento, autorizzando simpaticamente un uso ancora più spinto della leva finanziaria tra i fondi di private equity e rafforzando quel misero timido aumento di dealmaking che stiamo cercando di non far morire sia in M&A aziendale che nelle uscite dai mercati pubblici.
Michael Bruun ha dichiarato a Squawk Box Europe di CNBC mercoledì:
“Ora abbiamo una prospettiva molto costruttiva per il private equity, che si estende fino al 2026. Se guardiamo al M&A globale attuale, siamo quasi al 40% in più da inizio anno. E l’accelerazione nella seconda metà dell’anno è più evidente perché la volatilità si è calmata.”
Impressionante. Proprio ora. Dopo due anni in cui l’aumento dei tassi ci aveva gentilmente ricordato che il mondo non si basa sugli unicorni e sulle IPO scintillanti.
La fine dell’era dei tassi prossimi allo zero nel 2022 aveva praticamente fatto schiantare le IPO e il M&A, la pietra angolare delle uscite tanto care al private equity. Ma, ah, se la Fed taglia il tasso mercoledì, ecco che torna la speranza di una seconda giovinezza per queste strategie di uscita, par di capire.
Bruun ha aggiunto, con la solita delicatezza:
“Dobbiamo accettare che l’equilibrio tra mercati pubblici e privati è cambiato negli ultimi anni, con molte più opportunità di restare privati più a lungo. Detto questo, sembra che l’ambiente per i mercati pubblici sia più favorevole. Le aziende con grande valore intrinseco, quelle strategiche nel proprio settore, continuano ad attirare notevole interesse, e con il calo dei tassi si apre anche il mercato delle IPO.”
Peccato però che resteranno una quota minore di tutte le uscite rispetto a dieci anni fa. Insomma, le IPO saranno sempre di più una piccola comparsa nel grande show delle uscite dei fondi di investimento.
Opportunità a tutto campo
Bruun ci tiene inoltre a sottolineare come le società stiano diventando sempre più impegnate nel portare a termine uscite di private equity, dirottando con estrema ‘deliberazione’ asset non core, cosa che crea succulente occasioni di carve-out per i fondi, oltre a mosse più ampie e strategiche.
Segnala un backlog di asset “non ancora raccolti” davvero gigantesco, soprattutto in Europa: parliamo di ben 1.000 miliardi di dollari in asset con una vita utile superiore ai sei anni, “tutti da transgenderire nei prossimi trimestri”.
Questo tesoro nascosto assicura, secondo lui, uno scenario abbastanza tranquillo per la formazione di nuovi deal. «Quel backlog sta finalmente iniziando a muoversi» dice con ottimismo la cui sottile ironia è tutta da gustare.
Un clima di uscita più favorevole potrebbe ovviamente scatenare nuove distribuzioni di capitali agli investitori dei fondi privati, e un ulteriore taglio della Fed aggiungerebbe un ulteriore dolcificante a questo quadro finalmente meno desolante.
Le industrie che ne stanno approfittando? Ovviamente i soliti settori “da tendenza”: servizi finanziari, sanità, tecnologia e servizi alle imprese. E qui Bruun si rilassa un attimo per ricordarci che molti di questi comparti sono “in piena trasformazione, e si trovano in un momento nel quale è ancora possibile fare buoni affari”.
A proposito di intelligenza artificiale, ha voluto precisare che le opportunità non sono solo nei grandi modelli linguistici, ma si estendono all’implementazione dell’AI nelle aziende. Hai un’azienda di IT che aiuta le altre a integrare l’AI? Sei un’impresa energetica che supporta la costruzione dell’infrastruttura? Queste sono alcune delle ampie tematiche, dice lui con grande convinzione, in cui si può scommettere.



