L’inflazione decide di tornare in scena e riempire ancora una volta il portafoglio degli italiani di brutte sorprese. A giugno 2025, i dati definitivi dell’Istat ci regalano un assist prezioso: l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic) segna un +0,2% su base mensile e si spalma sull’1,7% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un aumento apparentemente modesto, che in realtà porta una lieve accelerazione dal 1,6% di maggio. Ma, oh sorpresa, il vero colpo basso arriva dal fronte dei beni alimentari non lavorati, quei prodotti tanto vulnerabili agli umori del clima e dei mercati globali: qui l’incremento annuo passa da un “timido” +3,5% a un più robusto +4,2%.
Il “carrello della spesa”, quell’elicottero di cifre che incorpora alimentari e beni per la cura della casa e della persona, non è da meno. Anche lui saluta con un aumento annuo che si spinge a un brillante +2,8% (era “solo” +2,7% a maggio). Viene da chiedersi se, tra una corsa e l’altra, qualcuno stia raccogliendo qualche soldo in più con l’aria frizzante di questa nuova inflazione.
In un balletto di prezzi energetici che sembrano più altalenanti di un pendolo impazzito, il settore energia segna una nuova battuta d’arresto: -2,1% su base annua, con la componente regolamentata – energia elettrica e gas con tariffe predeterminate – che rallenta vistosamente portandosi al +22,6% contro il vertiginoso +29,3% di maggio. Peccato che questa frenata non sia abbastanza per controbilanciare gli aumenti che piovono da altri versanti. Non si salva nemmeno l’inflazione di fondo, esclusi i beni energetici e alimentari freschi, che lievita da +1,9% a +2,0%. E resta stabile, come un orologio svizzero ma più stancante, l’inflazione senza i beni energetici: +2,1%.
I servizi legati ai trasporti hanno deciso di cavalcare l’onda e diventare più cari, accelerando dal +2,6% al +2,9%, mentre i bene durevoli sembrano riprendere fiato, attenuando la loro caduta da -1,1% a -0,8%. L’inflazione sui beni in generale dà un piccolo segnale di vita, salendo da +0,8% a +0,9%, mentre quella dei servizi si mantiene sui soliti +2,7%. Il differenziale tra beni e servizi rimane una questione fissa, bloccato a 1,8 punti percentuali. Tra i protagonisti più rumorosi dei rincari spiccano i prodotti ad alta frequenza d’acquisto – pensate a generi alimentari di base, carburanti e sigarette – che si impennano del 2% su base annua, rispetto all’1,5% di maggio. Insomma, l’inflazione fa sentire la sua voce soprattutto dove fa più male, ossia nel portafoglio quotidiano delle famiglie.
Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, ha commentato con la consueta eleganza: “Dati pessimi! A preoccupare è il continuo rialzo delle spese obbligate, beni alimentari e carrello della spesa, che non accennano a invertire la loro rotta. Il carrello passa da 2,7 di maggio a 2,8 di giugno, i Prodotti alimentari e bevande analcoliche da 3,2 a 3,5. Insomma, aumenti che di mese in mese non sembrano astronomici, ma che sommati determinano una stangata sempre maggiore per le famiglie, specie per le fasce meno abbienti, trattandosi di spese non rinviabili”.
E per chi pensa che con un solo figlio le cose migliorino, sappiate che la spesa aggiuntiva annua si ferma a soli 569 euro: di questi, 283 sono spese per cibo e bevande, mentre 301 se ne vanno tra beni alimentari e prodotti per la cura della casa e della persona. Insomma, una media da 453 euro per famiglia, di cui 221 ancora per mangiare e bere, e 234 per riempire quel fortunato carrello della spesa che pare un buco nero per i portafogli.
Anna Rea, l’illuminata presidente dell’Adoc, ci illumina con la sua analisi precisa e drammatica: “Non stiamo mica parlando di salmone affumicato o champagne, no no, ma di pane, pasta, frutta, verdura e detersivi, cioè tutto quello che serve per vivere dignitosamente.” Da brividi, vero? Ogni santissimo giorno, infatti, le persone si ritrovano davanti a scaffali con prezzi che aumentano senza ritegno, prosciugando portafogli già martoriati da una inflazione da incubo.
Il cerchio magico della sofferenza si chiude così: il rincaro dei beni essenziali impatta senza filtri sul potere d’acquisto di tutti, erodendo i redditi reali a ritmo incessante e spingendo sempre più disperati verso l’indebitamento e, chiaramente, la povertà. Rea sintetizza con eleganza: “È semplicemente intollerabile che fare la spesa per i bisogni primari diventi un lusso da nababbo.” Ecco a voi il paradiso del consumismo moderno.