Un ente in stile Agenzia delle Entrate per gestire i tributi locali? Secondo Giancarlo Giorgetti, forse no, almeno non come ce lo immaginiamo in modo tradizionale. Se proprio vogliamo, potrebbe esistere qualcosa di “innovativo”, capace di rispondere ai problemi specifici delle tasse comunali, sfruttando meglio la condivisione delle banche dati e le nuove tecnologie. Sempre, ovviamente, nel rispetto dell’autonomia decisionale dei singoli comuni. Alla fine della giornata, dopo che le sue dichiarazioni durante l’audizione sul decreto riguardante tributi regionali e federalismo erano state interpretate come un netto rifiuto della proposta del ministro dell’Economia, il presidente dell’Anci e sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, ha voluto mettere i puntini sulle i. Ha parlato di un’“attenzione positiva” verso l’idea di Giorgetti, spiegando di essere disponibile a un serio confronto.
Il punto cruciale, a parte il fatto che un nuovo ente per il recupero di Imu, Tari e multe non pagate non figura nemmeno nel decreto attuativo della delega fiscale varato dal governo a maggio, è aver finalmente chiamato in causa uno degli ostacoli maggiori alla riscossione in salsa comunale: la scarsissima disponibilità dei dati. Proprio in commissione al Senato, Manfredi aveva ribadito con chiarezza: “Il valore aggiunto sarebbe utilizzare le banche dati anche con le tecnologie più moderne, sviluppando una base dati nazionale accessibile a tutti. Lo Stato possiede questi strumenti, deve solo renderli disponibili, perché la tecnologia e l’informazione sono il vero patrimonio da sfruttare”. Peccato che, al momento, questo tesoro resti un’esclusiva che i comuni possono solo sognarsi di ottenere.
Tuffiamoci un attimo nella realtà finanziaria: la solidità dei bilanci degli enti locali è strettamente legata alla capacità di incassare i crediti. Più questa è scarsa, più i sindaci si trovano costretti a mettere soldi da parte in un Fondo crediti di dubbia esigibilità, una sorta di cassaforte per evitare di contare su quattrini immaginari destinati a non vedere mai un euro. Le cifre congelate sfiorano i 6 miliardi l’anno, roba da 10% della spesa totale, un vero salasso che fa saltare investimenti e spese ordinarie. Elidere queste somme finite nel limbo è quindi questione di vitale importanza. Ma come si fa? I comuni possono passare la patata bollente all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, la quale però soffre di una lentezza leggendaria e, come confessato dallo stesso Giorgetti, si concentra quasi esclusivamente sui tributi statali. Altrimenti possono decidere di fare da sé, a volte affidandosi a società private, un’opzione che in alcuni casi regala risultati assai migliori.
Se scelgono l’autogestione, da cinque anni a questa parte la legge garantisce loro l’accesso a una specie di gemma nascosta: la cosiddetta Anagrafe dei conti correnti, parte dell’Anagrafe tributaria dove sono conservate informazioni su saldi iniziali e finali, movimenti annuali e giacenza media dei conti. Questi dati permettono ai funzionari incaricati di capire se ha senso investire risorse per il recupero o se sarebbe soltanto un inutile spreco. Ma indovinate un po’? La…
La legge, ovviamente, resta ancora un bellissimo pezzo di carta inutilizzato. Dopo una maratona interminabile di trattative con l’Anci – perché mica poteva essere semplice mettere al sicuro quelle informazioni così sensibili – ecco arrivare la tanto agognata bozza di Convenzione con gli enti locali per accedere ai dati dell’anagrafe dei conti correnti. Peccato che, al momento, l’Agenzia delle Entrate ci informi che questo capolavoro “è ancora all’esame del Garante della Privacy”. Tradotto: la tanto sbandierata “interoperabilità tra sistemi, accesso alle banche dati centrali e utilizzo delle nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale”, parole di Manfredi, sono più vicine a una favola che a una realtà concreta.
Dunque, in attesa che questi burocrati si decidano, si apre l’ipotesi di creare una sorta di super-agenzia con personale qualificato e, udite udite, una struttura informatica capace di mettere insieme le reti di Agenzia della riscossione, Sogei e PagoPA. Una rivoluzione che tarda ad arrivare, ma che almeno suona bene all’orecchio degli appassionati di paroloni tecnologici.
Il solito problema dell’accantonamento obbligatorio: ti faccio pagare, ma poi i soldi spariscono
Il presidente dell’Anci non si è fatto certo pregare per ricordarci che bisogna pure rivedere il meccanismo dell’accantonamento obbligatorio. Perché, dicono, disincentiva qualsiasi velleità di migliorare la riscossione: “Il cittadino vede che il Comune riscuote di più, ma non ha la minima idea di dove vadano a finire quei soldi – e infatti non vanno da nessuna parte perché restano congelati in un fondo per anni”. Un genio della finanza pubblica, insomma.
E la soluzione? “Se in un dato anno si riesce a raccogliere di più, quel miglioramento dovrebbe tradursi in un beneficio immediato per il bilancio comunale, così da spiegare agli elettori che quei milioni extra finiscono in scuole, strade o aiuti per i disabili”. Peccato che oggi spiegare a un cittadino-elettore perché deve pagare sia quasi più difficile di decifrare un manoscritto di un medico. Qui entra in gioco il sistema a scalare concordato con il Ministero dell’Economia e la Ragioneria: un marchingegno tanto sofisticato da richiedere probabilmente una laurea in ingegneria per capire come funziona, ma promettono che entro un anno dovrebbe permettere di utilizzare finalmente queste risorse aggiuntive.
Ultima chicca: serve un meccanismo di compensazione per i danni finanziari causati dall’innumerevole serie di norme e sentenze che intaccano il gettito locale, a partire dall’Imu. Altrimenti? Beh, con i bilanci stretti come una camicia di forza, buona parte dei comuni italiani può solo augurarsi di riuscire a erogare anche i servizi minimi. Un quadro davvero roseo, come al solito.