Pd in ansia per Milano ma tutti zitti e buoni dietro il sindaco Sala: Elly Schlein fa finta di ascoltarlo

Pd in ansia per Milano ma tutti zitti e buoni dietro il sindaco Sala: Elly Schlein fa finta di ascoltarlo

Mercoledì sera al Partito Democratico si respirava come davanti a un incendio: il timore che Beppe Sala potesse dare forfait minacciava il capolavoro di conservare Milano, perché si sa, perdere la capitale economica italiana è un lusso che nessuno può concedersi. Appena si è diffusa la notizia che anche il sindaco meneghino era sotto indagine, il vertice dem si è arrotolato le maniche e ha deciso di partire all’attacco. Difesa a oltranza del povero Sala, per evitare che, sentendosi come un pesce fuor d’acqua senza solidarietà, possa pensare a dimettersi. Ovviamente, senza dimenticare di ribadire la fiducia nella sacra magistratura, il tutto condito da un gentile invito a migliorare la politica urbanistica milanese. Una mossa elegante per dire: “Facciamo finta che nulla sia accaduto, ma dai diamoci una regolata”.

Nel frattempo, la nostra magica segretaria, Elly Schlein, ha scelto la via più comoda: zero commenti, niente dichiarazioni allineate. Passando la giornata incollata al telefono con il fronte milanese del partito, si è limitata a non far trapelare nulla fino alla sera, quando ha finalmente sentito il dovere di esprimere la sua «vicinanza» con un telefonino che ha squillato per ben trenta minuti in aperta puzza di guai.

Ovviamente, la parola d’ordine l’ha detta Pierfrancesco Majorino, il fidatissimo luogotenente della signora Schlein a Milano: solidarietà senza se né ma a Sala, e soprattutto una richiesta roboante di «svolta urbanistica». Tradotto: lasciamo perdere quello che si è fatto fino ad ora e mettiamo in campo un nuovo piano territoriale con la scusa dell’«emergenza abitativa», così ci si può permettere di rimettere mano a tutto e magari correggere qualche leggerezza passata.

Non è mancato il contributo da palcoscenico di Alessandro Alfieri, segretario regionale lombardo, che ha snocciolato il copione: “Sto con Sala come dieci anni fa”, perché evidentemente la memoria storica è meno attiva di quella di un pesce rosso. A confermare la linea dura è intervenuta anche Lia Quartapelle con una frase lapidaria: “È mia personale convinzione che il…” Peccato che la frase sia stata interrotta, ma ormai il nastro era già tagliato…

Ah, il sindaco Beppe Sala, quell’eroe intoccabile a cui, naturalmente, viene garantita la totale innocenza e immunità da qualsiasi accusa, reale o immaginaria, di corruzione. Come se la politica milanese fosse un monastero di santi votati al bene comune.

Nel frattempo, i 5 Stelle suonano tutt’altro spartito, ovviamente più realistico e meno misericordioso. Mercoledì Giuseppe Conte ha evocato le dimissioni immediate di Sala, un coro a cui ieri si è unita, senza risparmiare sarcasmo, la Chiara Appendino di turno, che ad Agorà ha chiesto un classico «passo di lato» da parte del sindaco. Giusto per ricordare al pubblico un dettaglio alquanto gustoso: il Partito Democratico, alleato cocente, aveva votato con la destra quella splendida chicca chiamata «Salva Milano», un provvedimento di cui nessuno vuole prendersi la responsabilità, ma che certamente agisce come una pellicola sottilissima di ipocrisia su tutta la faccenda.

Non tutte le anime dem, però, stanno lì a sguazzare nel fango dello scontro politico con così tanta gioia. L’ala riformista del Pd sembra aver preso un colpo d’orgoglio e non vede di buon occhio l’atteggiamento guerrafondaio verso Sala. A quanto pare, vorrebbero che Elly Schlein, la loro beniamina, mettesse finalmente qualche punto fermo anche su questo caso. Nel sempre affascinante salotto di Palazzo Madama, senatori dem e grillini si sono scambiati qualche parola non proprio zuccherosa.

Sandra Zampa, uno dei pezzi grossi del Pd, si è rivolta con piglio deciso a Stefano Patuanelli: «La Appendino è pure stata condannata in primo grado, ma nessuno di noi del Pd ha mai sognato di gettarle la prima pietra». E a rincarare la dose è arrivata anche Simona Malpezzi, che ha annunciato il suo disappunto con garbo: «Tra alleati, certi attacchi proprio non si possono vedere».

Ma, come in ogni sceneggiata ben riuscita, il protagonista trova la battuta finale: Patuanelli ha controbattuto con forza, insistendo che, in fondo, «come alleati, siete voi che dovreste chiedere le dimissioni di Sala». E, ciliegina finale sulla torta, ha puntualizzato l’ineguaglianza degli episodi: «Non si possono equiparare i casi, lei ha avuto una condanna per decisioni nell’esercizio delle sue funzioni; a Milano, invece, si parla di corruzione». Ovviamente un dettaglio secondario, nulla di grave, solo la differenza tra una cosetta di ordinaria amministrazione e la corruzione vera.

Un copione già visto

Ci troviamo ancora una volta di fronte allo spettacolo della politica italiana che si accapiglia sulla pelle dei cittadini, soffocata da giochi di potere e ipocrisie sfacciate. I grandi paladini dell’etica e della trasparenza diventano subito novelli Guelfi e Ghibellini al minimo accenno di scandalo.

Un lato del campo difende a spada tratta un sindaco indiscutibilmente impunibile, l’altro invoca dimissioni e scelte epocali, dimenticando che sotto polvere e proclami si cela solo una bella confusione. La cosiddetta «casta» sembra divertirsi a far credere al pubblico che pure appena un sussurro di accusa possa trasformarsi in una condanna senza appello, ma solo se fa comodo.

Nel frattempo, i cittadini osservano, scuotono la testa e si chiedono quanto servirà ancora prima di vedere un vero cambiamento o, almeno, un po’ di sincerità in mezzo a questo groviglio di veleno politico e difese corporative degne di un romanzo di fantapolitica.

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