Orsted taglia 2.000 posti e sfida l’amministrazione Trump come se fosse una partita di Risiko

Orsted taglia 2.000 posti e sfida l’amministrazione Trump come se fosse una partita di Risiko

Che gioia per Ørsted, il gigante danese delle turbine eoliche: ha appena annunciato un taglio del 25% del suo personale entro la fine del 2027. Una mossa brillante per “diventare più competitiva” e rifocalizzarsi sull’Europa, come se licenziare migliaia di dipendenti fosse il segreto del successo. Nel frattempo, le azioni hanno registrato un modesto aumento dello 0,7% in Europa, perché nulla dice “progresso” come un leggerissimo incremento in borsa mentre si butta via la manodopera.

Da quando Donald Trump ha messo il suo zampino nell’energia rinnovabile, la vita di Ørsted è diventata una vera telenovela. Il giorno dopo essere entrato in carica, ha firmato un ordine esecutivo per bloccare nuovi contratti su parchi eolici sia onshore che offshore. Trump ha persino dichiarato a chiare lettere che l’America “non farà quella cosa delle pale eoliche” durante la sua presidenza. Che lungimiranza.

Non contento, l’amministrazione Trump ha ordinato la sospensione immediata del progetto Revolution Wind, situato davanti alla costa di Rhode Island, che era già completato all’80% e avrebbe alimentato più di 350.000 case. Naturalmente, un tribunale americano ha ribaltato questo ordine, ma i danni erano già fatti.

Così a settembre, Ørsted ha dovuto tagliare le previsioni di guadagno per l’anno in corso, giustificando il tutto con velocità del vento offshore “inferiori alla norma”. Eh sì, la natura non collabora sempre, peccato. Ma l’azienda ne approfitta per un’altra chicca:

Rasmus Errboe, CEO di Ørsted, ha annunciato:

“Abbiamo comunicato ai nostri dipendenti che da oggi fino alla fine del 2027 saluteremo molti colleghi abili e apprezzati che hanno contribuito enormemente a Ørsted.”

Quindi, da 8.000 dipendenti nel mondo dovranno ridursi a 6.000. Come? Naturalmente con una ricetta plurale: uscite “naturali”, tagli di posizioni, cessioni, outsourcing e, perché no, licenziamenti diretti. Il tutto per risparmiare una modica cifra di 2 miliardi di corone danesi, ovvero 311 milioni di dollari, a partire dal 2028. Un vero affare, no?

Errboe ha giustificato questo swoon verso il risparmio con una verità tanto cruda quanto scontata:

“È una conseguenza necessaria della nostra decisione di concentrare il business e del fatto che stiamo per concludere il nostro grande portafoglio di costruzioni nei prossimi anni, quindi avremo bisogno di meno dipendenti. Allo stesso tempo, vogliamo creare un’organizzazione più efficiente, flessibile e competitiva, pronta a fare offerte per nuovi progetti eolici offshore che aumentano il valore.”

In altre parole? Meno persone, più efficienza, più profitti. Ma niente paura, tutto per una “causa più grande”: aggiudicarsi nuovi progetti eolici. Solo che sembra che la presidenza Trump abbia fatto di tutto per sabotare l’energia verde negli Usa, e ora Ørsted si ritrova a dover ridimensionare il personale e reinventarsi. Sicuro che sia una vittoria dell’energia pulita?

Insomma, una storia da manuale del paradosso energetico: da una parte politici che vedono l’eolico come una minaccia da fermare a ogni costo, dall’altra multinazionali che tirano la cinghia per non soccombere a metà del cammino. Nel mezzo, i lavoratori che salutano la porta a una manciata di anni da un futuro che sembrava più verde.

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