Operazione bloccata per sciopero e Siaarti si difende: nemmeno l’anestesista è il capro espiatorio di turno

Operazione bloccata per sciopero e Siaarti si difende: nemmeno l’anestesista è il capro espiatorio di turno

Ah, la sempiterna battaglia tra diritto al lavoro e dovere di scioperare, un classico intramontabile del nostro sistema sanitario nazionale. Stavolta il dramma si consuma all’ospedale di Ancona, precisamente a Torrette, dove un intervento di chirurgia senologica oncologica, programmato per il 22 settembre, è stato puntualmente rinviato. Il colpevole? Uno sciopero generale di medici, infermieri e soprattutto anestesisti in solidarietà con Gaza. Ovviamente, le polemiche non si sono fatte attendere e la società degli anestesisti ha dovuto intervenire per chiedere un po’ di buon senso e meno strumentalizzazioni.

Elena Bignami, presidente della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), non si è fatta pregare nel ribadire il punto: capiamo il dolore della paziente, ma attribuire la colpa agli anestesisti è ridicolo. Lo sciopero è un diritto costituzionale e chi aderisce lo comunica in anticipo, come da regolamento. Forse sarebbe più opportuno che i politici si interrogassero su quanto siano vitali questi professionisti: senza anestesisti, caro sistema sanitario, non si opera nemmeno un dito.

Se da un lato c’è rammarico per la paziente, dall’altro qualcuno cerca di spegnere gli incendi con spiegazioni da manuale. Elisabetta Cerutti, direttore della struttura complessa di Anestesia e Rianimazione dell’azienda ospedaliera universitaria delle Marche, parla della vicinanza alla paziente – cosa che suona quasi come un obbligo di cortesia – e precisa che l’intervento è stato riprogrammato rapidissimamente, così da non compromettere la prognosi. Naturalmente, la riorganizzazione della sala operatoria coinvolge mezzo ospedale, non solo anestesisti, ma infermieri, direttori e chi più ne ha più ne metta.

Un dettaglio curioso che non si può passare sotto silenzio: gli interventi urgenti vanno sempre avanti e gli elettivi vengono rimandati a tempi più “convenienti”. Insomma, se non ti operi subito, bon, aspetta qualche giorno in più. Forse una terapia antipazienta? Molto fashion nel 2025.

Una protesta che non si ferma davanti alle inevitabili conseguenze

Ora veniamo al nocciolo della questione. Lo sciopero non è una leggerezza, come ci ricorda la Cerutti, che dimostra un’imprevedibile vena empatica. Chi sciopera, medici e infermieri, perde lo stipendio per quella giornata e non lo fa per un contentino economico o per freschi diritti, ma per qualcosa che, ahimè, sembra non toccare le coscienze di molti: una protesta contro la tragedia umanitaria a Gaza. Quindi, un gesto “umanitario”, per usare il loro terminaccio, a difesa di un popolo – e permettetemi il sarcasmo – che “viene massacrato”.

Come ciliegina sulla torta, la protesta per la distruzione degli ospedali e la morte per fame e malasanità è stata definita “l’ultima spiaggia” dopo il silenzio assordante delle istituzioni. Complimenti, un quadro magnifico.

Il rischio di strumentalizzazione? Meglio evitare

Bignami insiste – e con ragione, se vogliamo – sul fatto che la disperazione di una paziente non dovrebbe essere usata come arma per delegittimare chi esercita un diritto costituzionale. Però, poi, punta il dito su un problema altrettanto serio: la fuga degli anestesisti, professione sempre meno “attraente” per i giovani medici. Probabilmente, se continuerà così, tra qualche anno, avremo più anestesisti in sciopero che in sala operatoria. E indovinate un po’? Senza anestesisti, non si opera. Curioso, vero?

In conclusione, tra diritti costituzionali, emergenze oncologiche, drammi geopolitici e turni saltati, ci ritroviamo davanti a uno spettacolo tragicomico che mette in luce il fragile equilibrio di un sistema dove spesso vengono calpestati tutti i sacri diritti: quello del lavoro, della salute, della protesta e dell’umanità.

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