Il signor Kim, però, pone una domanda non banale:
“Cosa succede quando la tecnologia su cui ti basi cambia ogni mese? Come si fa a fare le cose più lentamente e sperare di vincere la partita?”
La chiave, secondo lui, sembra essere la momentum — in poche parole, chi resta indietro viene risucchiato dal vortice dell’oblio tecnologico. Forse un giorno il modello si stabilizzerà, e allora magari se ne potrà discutere, ma per ora non c’è scampo.
Costruire il prossimo Spotify… o almeno provarci
Il momentum, e la capacità di iterare senza sosta, dipendono ovviamente dai fondi a disposizione per mettere il turbo alle operazioni.
Jean La Rochebrochard, managing director di Kima Ventures, racconta candidamente a “Squawk Box Europe”:
“Noi europei siamo rivoluzionari, romantici, pieni di risorse.”
Peccato che, continua, “è dura fare a cazzotti con un paese dove il rischio è il piatto forte, il capitale scorre a fiumi e il talento – beh, diciamo che soffiarsi il naso è meno necessario.” E, per la cronaca, il paese di cui parla è ovviamente gli USA.
Nonostante ciò, la speranza non muore. Per il visionario La Rochebrochard, chi è uscito dai confini europei ma decide di tornare per aprire una startup è da tenere d’occhio. In fondo, dice, “speriamo che Mistral diventi quel colosso da cento miliardi che l’Europa ha solo visto in sogno, come Revolut in UK. Se Revolut, Mistral e Spotify ce l’hanno fatta, perché non altri dieci, venti, cinquanta?”
Giusto ieri, la britannica Nscale ha incassato 433 milioni di dollari, a inframezzo a un colossale round da 1,1 miliardi, il più grande mai registrato in Europa. Anche loro però giocherebbero sul terreno dell’infrastruttura AI, non dell’applicazione, ma è comunque un segnale che passa sotto al naso di chi parla di sovranità tecnologica europea.
Per Anton Osika, CEO di Lovable, la risposta è semplice: basta cambiare mentalità.
“L’unica vera cosa da fare in Europa è credere che sia possibile.”
Il tallone d’Achille del passato, ovvero la scarsità di talenti e capitali, secondo lui non è più un problema. La sua compagnia può addirittura fare da cofondatore tecnico per altri CEO alle prime armi e sta reclutando i migliori cervelli direttamente dagli Stati Uniti verso la Svezia, un vantaggio competitivo di non poco conto.
Il tempo di assumere in Europa, spiega, è molto più rapido rispetto agli Stati Uniti, dove la concorrenza tra aziende simili è spietata. Quindi, alla fine, l’Europa ha anch’essa qualche asso nella manica – basta solo saperlo giocare.
ElevenLabs, fondata nel 2022, è una startup londinese specializzata nell’intelligenza artificiale vocale, che, con nonchalance, si mette in fila con nomi altisonanti come Speechmatics e Hume AI. Nel teatrino delle startup AI, tra fuochi d’artificio e facili applausi, i veri protagonisti restano ovviamente OpenAI e Anthropic, mentre chi prova a stare sulla loro scia può solo cercare di non affogare in un mare di innovazione senza pietà.
Se negli Stati Uniti si consuma la gara per i modelli di linguaggio di ultima generazione (quelli giganteschi e costosi da far tremare i portafogli), il vecchio continente si accontenta – ironia della sorte – di costruire attorno a questi modelli cose “usabili”, cercando di sfruttare quella che tutti chiamano la “layer applicativa”.
Robert Lacher, socio fondatore di Visionaries Club, l’ha detto in modo cristallino a “Squawk Box Europe”:
“È proprio lì dove pensiamo che in futuro si faranno i veri soldi.”
E i numeri, ovviamente, non mentono… Ma mica tanto: grazie a una ventata di venture capital, le aziende di intelligenza artificiale generativa hanno intascato 49,2 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 2025, superando i 44,2 miliardi spesi in tutto il 2024. Peccato che praticamente il 97% di quel denaro sia stato regalato a realtà americane, che si pigliano pure il 62% dei deal per volume. L’Europa? Solo uno sbiadito 2% del valore, pur sfoggiando un rispettabile 23% di volume. Grande cosa, eh?
Il motivo? Gli investitori europei hanno meno voglia di rischiare, la frammentazione del mercato è un vecchio tormentone, e la sobrietà è tornata di moda dopo la sbornia tech del 2021. Insomma: qui si punta tutto sulla crescita prudente e i numeri che non facciano storcere il naso, mentre dall’altra parte dell’Atlantico si lascia spazio all’entusiasmo e alle follie finanziarie.
Il problema bello grosso è che i modelli tipo ChatGPT di OpenAI e Claude di Anthropic si aggiornano così spesso che chi costruisce applicazioni su di loro deve correre a perdifiato o prendere la polvere.
L’Europa, in tutto questo, ha almeno una carta da giocarsi: Mistral, la startup francese che ha raccolto finora 1,7 miliardi di euro, compresa una manciata di milioni da ASML, il gigante olandese dei microchip. Mistral si presenta come l’anti-OpenAI open source, ma bisogna ammettere che la pista è ancora lunga e faticosa.
Bryan Kim, partner di Andreessen Horowitz, ha commentato da Italian Tech Week:
“La velocità di innovazione, di sviluppo del prodotto, e di distribuzione è ciò che congeda tutto il resto.”
Tra esempi europei di chi prova a tirar fuori qualcosa di concreto dall’AI ci sono Lovable, una piattaforma “vibe-coding” svedese che consente di costruire app e siti grazie all’intelligenza artificiale, e Sana, startup di agenti AI. Londra dice la sua con Synthesia, video generator, ed ElevenLabs, specializzata nell’audio sintetico, che incredibilmente si è anche costruita un suo modello di linguaggio. Indubbiamente, un dettaglio da non sottovalutare.
Il signor Kim, però, pone una domanda non banale:
“Cosa succede quando la tecnologia su cui ti basi cambia ogni mese? Come si fa a fare le cose più lentamente e sperare di vincere la partita?”
La chiave, secondo lui, sembra essere la momentum — in poche parole, chi resta indietro viene risucchiato dal vortice dell’oblio tecnologico. Forse un giorno il modello si stabilizzerà, e allora magari se ne potrà discutere, ma per ora non c’è scampo.
Costruire il prossimo Spotify… o almeno provarci
Il momentum, e la capacità di iterare senza sosta, dipendono ovviamente dai fondi a disposizione per mettere il turbo alle operazioni.
Jean La Rochebrochard, managing director di Kima Ventures, racconta candidamente a “Squawk Box Europe”:
“Noi europei siamo rivoluzionari, romantici, pieni di risorse.”
Peccato che, continua, “è dura fare a cazzotti con un paese dove il rischio è il piatto forte, il capitale scorre a fiumi e il talento – beh, diciamo che soffiarsi il naso è meno necessario.” E, per la cronaca, il paese di cui parla è ovviamente gli USA.
Nonostante ciò, la speranza non muore. Per il visionario La Rochebrochard, chi è uscito dai confini europei ma decide di tornare per aprire una startup è da tenere d’occhio. In fondo, dice, “speriamo che Mistral diventi quel colosso da cento miliardi che l’Europa ha solo visto in sogno, come Revolut in UK. Se Revolut, Mistral e Spotify ce l’hanno fatta, perché non altri dieci, venti, cinquanta?”
Giusto ieri, la britannica Nscale ha incassato 433 milioni di dollari, a inframezzo a un colossale round da 1,1 miliardi, il più grande mai registrato in Europa. Anche loro però giocherebbero sul terreno dell’infrastruttura AI, non dell’applicazione, ma è comunque un segnale che passa sotto al naso di chi parla di sovranità tecnologica europea.
Per Anton Osika, CEO di Lovable, la risposta è semplice: basta cambiare mentalità.
“L’unica vera cosa da fare in Europa è credere che sia possibile.”
Il tallone d’Achille del passato, ovvero la scarsità di talenti e capitali, secondo lui non è più un problema. La sua compagnia può addirittura fare da cofondatore tecnico per altri CEO alle prime armi e sta reclutando i migliori cervelli direttamente dagli Stati Uniti verso la Svezia, un vantaggio competitivo di non poco conto.
Il tempo di assumere in Europa, spiega, è molto più rapido rispetto agli Stati Uniti, dove la concorrenza tra aziende simili è spietata. Quindi, alla fine, l’Europa ha anch’essa qualche asso nella manica – basta solo saperlo giocare.



