Una mossa che definiremmo «originale» sarebbe un eufemismo. La Procura di Palermo, in un gesto di rarissima audacia (o forse semplicemente di disperazione), decide di saltare a piè pari il consueto e noioso appello per rivolgersi direttamente alla bizzarra Corte di Cassazione. Il motivo? Sostengono che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto così evidente che andare a rivedere i fatti al secondo grado sarebbe pura perdita di tempo. Insomma, meglio andare dritti al sodo, o quasi.
Andiamo per gradi. L’estate del 2019: 147 migranti, la nave Open Arms, e il nostro amato leader leghista, allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che decide di giocare alla trattativa dura trattenendo i naufraghi a bordo. Il Tribunale ha già decretato con una sentenza che definire «incontrovertibile» è un complimento, che Salvini non è colpevole perché “il fatto non sussiste”. Poi arrivano i PM con la loro versione: i giudici hanno sbagliato clamorosamente a interpretare la legge e per questo, addio appello tradizionale, si corre subito alla Cassazione invocando gli articoli 569 e 606 del codice di procedura penale, quelli che parlano di “inosservanza o erronea applicazione della legge penale”. Una chicca giuridica pronta a dare spettacolo.
Naturalmente, un azzardo di questa portata porta con sé il suo bel rischio. Perché se la Cassazione, con tutta la pazienza e la raffinatezza che la contraddistinguono, dovesse rifiutare di spartirsi questa «polpetta avvelenata» firmata dal procuratore Maurizio De Lucia, dall’aggiunto Marzia Sabella e dalla sostituta Giorgia Righi, la partita sul caso Open Arms si chiuderà una volta per tutte. Fine del gioco, applausi e tutti a casa. Ma se, per un colpo di fortuna o malcelata compassione, la Corte accettasse il ricorso, si approderebbe al neonato e inedito spettacolino di una Corte d’Appello chiamata non a giudicare i fatti, ma a dibattere solo su questioni di diritto individuate dal “palazzaccio” romano.
Chiaramente i PM devono essersi bevuti il cervello, o forse sono semplicemente convinti, fino all’ultimo atto, che la loro lettura delle norme nazionali e internazionali sul soccorso in mare sia la bibbia di questa vicenda. Mentre noi, da spettatori, attendiamo l’epilogo di questo teatrino giuridico con l’ironia del caso.